Pensioni. Inps, Boeri: «Sistema non regge senza nuovi ingressi di immigrati»
Tito Boeri lo dice con grande chiarezza: «Il nostro sistema pensionistico è in grado di reggere alla sfida della longevità, finché si manterrà l'adeguamento automatico dell'età pensionabile. Ma non ha al suo interno meccanismi correttivi per compensare un calo degli ingressi nel mercato del lavoro». Nella Relazione annuale presentata alla Camera il presidente dell'Inps ha fatto un esplicito riferimento ai temi sui quali tanto ha insistito nella sua gestione: il declino demografico e la riduzione dei flussi migratori che, assieme a modifiche "pesanti" alla legge Fornero, rischiano di mettere in crisi i conti della previdenza. Una disamina che traccia, col supporto delle cifre, un quadro allarmato e fatta con precisazioni sempre molto chiare:
«Tutti sono d’accordo - ha detto a esempio - sul fatto che bisogna contrastare l’immigrazione irregolare. Bene, ma si dimentica un fatto importante: per ridurre l’immigrazione clandestina il nostro Paese ha bisogno di aumentare quella regolare».
Tra invecchiamento e migranti
Le pensioni percepite dai pensionati dai 70 anni in su hanno assorbito nel 2016 il 56% della spesa pensionistica complessiva. Era il 40% nel 1995. E, per la lentezza con cui sta entrando in vigore la riforma Dini degli anni Novanta, a oggi solo il 4,1% degli assegni pagati sono prestazioni liquidate per intero con il meno generoso sistema contributivo, mentre il 13,6% è erogato col sistema misto. «Le previsioni sulla spesa - sottolinea Tito Boeri - indicano che anche innalzando l'età del ritiro, ipotizzando aumenti del tasso di attività delle donne che oggi tendono ad avere tassi di partecipazione al mercato del lavoro più bassi, incrementi plausibili e non scontati della produttività, per mantenere il rapporto tra chi percepisce una pensione e chi lavora su livelli sostenibili è cruciale il numero di immigrati che lavoreranno nel nostro Paese». Secondo l'Inps «eventuali politiche di recupero della bassa natalità italiana o dei tassi di occupazione potranno correggere gli squilibri demografici nel lungo periodo, ma non potranno da sole arginare la riduzione delle classi di popolazione in età lavorativa prevista per il prossimo ventennio».
I costi del contratto di governo
«E' difficile trovare un nostro connazionale che non aspiri ad andare in pensione quanto prima», dice Boeri spiegando che i redditi da pensione in Italia sono molto più vicini a quelli che si ottengono dal lavoro che in altri Paesi. Da noi infatti la pensione vale in media circa l’85% del reddito da lavoro, mentre in Europa è il 60%. «Non è perciò sorprendente che la riforma pensionistica del 2011 (egge Fornero, ndr) sia così odiata dagli italiani», visto che ha allontanato per molti l’età a cui si può andare in pensione.
Tornare indietro però, secondo l'economista, non è possibile. «Secondo le nostre stime, quota 100 pura costa fino a 20 miliardi all’anno, quota 100 con 64 anni minimi di età costa fino a 18 miliardi che si riducono a 16 alzando il requisito anagrafico a 65 anni, quota 100 con 64 anni minimi di età e il mantenimento della legislazione vigente costa fino a 8 miliardi».
I limiti del "decreto dignità"
Boeri è intervenuto anche sul primo provvedimento economico del governo M5s-Lega. «Cinque proroghe dello stesso contratto sono troppe perché consentono un periodo di prova praticamente di tre anni», ma «non si vede perché reintrodurre le causali sui contratti a tempo determinato, che comportano un forte appesantimento burocratico, scoraggiando la creazione di lavoro soprattutto nelle piccole imprese». Se «lo scopo è quello di favorire la conversione dei contratti a tempo determinati in contratti a tempo indeterminato», la via migliore è «aumentare i costi» per la prima tipologia di contratti.
«Non smontare il Reddito di inclusione»
Il Rei per il contrasto alla povertà, introdotto e ampliato dai governi Renzi e Gentiloni e in vigore dallo scorso dicembre, «è diventato in questi giorni uno strumento universale selettivo», in cui non valgono più alcune condizioni per accedere agli aiuti, come il numero dei figli o lo stato di disoccupazione. Il problema del Rei però è che «è sottofinanziato», spiega Boeri. Secondo le stime dell’Inps con 6,2 miliardi aggiuntivi - oltre agli attuali 1,8 impegnati - si potrebbe raggiungere l’80% delle famiglie povere, contro il 29% coperto con le risorse attuali. Per questo motivo l’Inps chiede al nuovo Parlamento e al governo «di non disperdere il lavoro svolto nel mettere in piedi una infrastruttura nazionale capace di raggiungere le famiglie povere».
750mila lavoratori nella gig economy, solo il 10% riders
L’Inps ha infine analizzato la gig economy, quelle nuove forme di lavoro su richiesta, molto spesso legate alle nuove tecnologie (come i riders). Per l’istituto di previdenza in Italia sono circa 750mila i lavoratori coinvolti in questi lavori, di questi poco più del 10% sono riders. Inoltre il 70% svolge lavoretti come secondo lavoro o durante gli anni di studio e tra questi il grado di soddisfazione del proprio lavoro è «relativamente elevato. Vi sono però anche persone, a volte non più giovanissime - spiega Boeri - che trovano in questi impieghi saltuari l’unica fonte di reddito»: si tratta di un lavoratore su cinque della gig economy.
Non è mancato uno strascico della polemica politica, dopo il nuovo attacco a Boeri sferrato martedì da Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell'Interno. Luigi Di Maio, il vicepremier in quota M5s, ha teso una mano a Boeri: «Non so se andremo d'accordo su tutto, ma su pensioni d'oro e vitalizi lavoreremo bene. Finché l'esecutivo farà l'esecutivo e l'Inps farà l'Inps andremo d'accordo». Il leghista Salvini, viceversa, ha rincarato la dose: «Il presidente dell'Inps continua a fare politica. Dove vive, su Marte?».
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