Il caso. Dubbi sul rialzo dei tassi, mentre la crisi delle banche affossa i listini
Una sede della Silicon Valley Bank negli Usa
Se le banche avessero ancora gli sportelli, invece di averli ridotti al minimo perché “tanto i clienti gestiscono i conti dal telefonino”, davanti ad alcune filiali americane in questi giorni vedremmo le file di persone in coda per riavere i propri soldi prima che sia troppo tardi. Assisteremmo alle vecchie scene delle corse agli sportelli, i bank run, ma in un formato troppo grande per essere immaginato: Silicon Valley Bank di filiali ne aveva diciotto in tutto e in un giorno solo, venerdì scorso, i clienti hanno ritirato 42 miliardi di dollari. Cioè quasi due miliardi e mezzo a sportello. Forse è un bene che le immagini di questi prelievi di massa non esistano, altrimenti sarebbero diventate virali sui social network complicando ulteriormente le cose: lo scenario aperto dalla crisi della sedicesima banca americana è molto delicato proprio per l’alto rischio di effetto panico.
In un intervento davanti ai giornalisti, ma senza la possibilità di fare domande, il presidente americano Joe Biden ha invitato a mantenere la calma. «Il sistema bancario americano è sicuro, i depositi ci saranno quando ne avrete bisogno» ha detto, promettendo che farà «tutto il necessario » e puntando su tre messaggi forti: nessun rischio sui depositi in banca; nessun salvataggio di banche con denaro pubblico; nessun aiuto a investitori e obbligazionisti di banche in crisi, «perché quando investi ti assumi parte del rischio e quando il rischio non dà risultati perdi i tuoi soldi, è così che funziona il capitalismo».
Il presidente ha quindi promesso indagini sulle responsabilità e ha annunciato che tenterà un ripristino delle norme sull’attività bancaria introdotte dopo la crisi dei mutui subprime. Il Dodd-Frank Act del 2010 prevedeva controlli più stringenti per gli istituti di credito con attivi superiori ai 200 miliardi di dollari, ma nel 2018 la maggioranza repubblicana ha abbassato la soglia a 50 miliardi. Svb aveva asset per 212 miliardi. Domenica la Federal Reserve, il ministero del Tesoro e il Fdic (il fondo interbancario di tutela dei depositi) sono intervenuti per arginare la crisi. Hanno annunciato l’istituzione immediata di un fondo da 25 miliardi di dollari – “Bank Term Funding Program” – a cui le banche che hanno comprato titoli del Tesoro potranno fare ricorso per avere maggiore liquidità. Il fondo presterà loro denaro per un anno prendendo in garanzia i T-Bond, le obbligazioni delle agenzie pubbliche e quelle basate sui mutui. I titoli in garanzia saranno accettati per il loro valore nominale, non quello di mercato: significa che un’obbligazione da un milione di dollari consentirà di avere un prestito da un milione, anche se oggi sul mercato il valore del titolo è inferiore, a causa dei bassi rendimenti che offre rispetto ai tassi proposti dai bond emessi negli ultimi mesi, dopo i rialzi della Fed.
Come seconda misura di intervento, il governo americano e la Fed hanno deciso di intervenire per garantire che tutti i depositi in Silicon Valley Bank e Signature, la banca che si era aperta alle criptovalute costretta a chiudere domenica, siano a disposizione dei correntisti, anche quando i loro conti superano la soglia garantita dal fondo interbancario, che in America è di 250mila dollari. Nel caso di Svb – i cui clienti sono soprattutto startup – il 96% dei depositi non era coperto da garanzia. La Fed, inoltre, ha annunciato in serata di aver lanciato un’indagine interna sulla sua supervisione di Svb. Le parole di Biden hanno dato ossigeno a Wall Street, che partita male ha girato in positivo e infine ha chiuso mista (Dow Jones -0,28% e Nasdaq +0,45%). La paura ha invece contagiato i mercati internazionali. Milano ha perso il 4%, affossata dai titoli delle banche. Tra le maggiori hanno perso il 6,1% Intesa Sanpaolo, il 9,1% Unicredit e il 9,5% Bper. I listini europei hanno bruciato complessivamente 291 miliardi di euro di capitalizzazione. Gli investitori sono corsi a comprare obbligazioni di Stato e altri beni rifugio.
Il contagio è limitato, hanno comunque ribadito in molti, compreso Paolo Gentiloni, commissario europeo agli Affari economici. La questione però è la fiducia: se i clienti ritirano il denaro in massa sono poche le banche in grado di reggere. In particolare negli Stati Uniti i correntisti stanno spostando i risparmi dalle banche più piccole, di dimensione regionale, ai gruppi maggiori, considerati più solidi. Per questo è entrata in crisi anche Signature Bank, così come sono in difficoltà altri due istituti: First Republic e Western Alliance. Intanto Svb – sotto il controllo del Fdic – è in vendita in attesa di acquirenti, mentre la sua filiale britannica è già passata a Hsbc per una sterlina. È emerso tra l’altro che Svb ha pagato i bonus ai dipendenti proprio venerdì, poco prima di essere rilevata dal Fdic, mentre il ceo Greg Becker ha venduto azioni per 3,6 milioni di dollari a fine febbraio.
È possibile che questa crisi imprevista, figlia anche di anni di tassi bassissimi diventati però elevatissimi in pochi mesi, spinga la Federal Reserve a rallentare la stretta e consenta, di conseguenza, anche alla Bce di fermarsi a un solo altro aumento, quello da 50 punti base previsto per giovedì. Gli investitori ci sperano e sono già iniziati gli appelli pubblici alla Fed perché tenga conto di quello che sta succedendo. A inizio marzo il governatore Jerome Powell aveva detto che l’inflazione elevata costringe a interventi più severi, rafforzando le attese per un rialzo da 50 punti base nella riunione del prossimo 21-22 marzo. I tassi negli Stati Uniti oggi sono al 4,75%, il livello più alto dal 2007, quando iniziò la grande crisi finanziaria.