Economia

INTERVISTA A RAFFAELLO LUPI. «Bene così, ma il vero problema sono i redditi nascosti»

Eugenio Fatigante giovedì 7 gennaio 2010
Davanti al boom degli incassi da controlli nel 2009 Raffaello Lupi non si agita troppo: «L’Agenzia delle Entrate ha fatto - e bene - il suo mestie­re – osserva il docente di di- ritto tributario all’università Tor Vergata di Roma –. Ma non dà la suddivisione, che sarebbe un elemento impor­tante, fra gettito da redditi che erano nascosti al Fisco e quello da attività palesi, ma che si configurano come cambiamenti di regime». Che intende dire? Faccio degli esempi: un’a­zienda che tariffa a prezzi maggiorati da un prestano­me straniero per portare ca­pitali fuori, la deduzione di spese non relative all’attività svolta, le differenze d’inven­tario nella grande distribu­zione dove magari un’im­presa dichiara ammanchi da furti superiori al reale, l’anti­cipo di una perdita vantata con una ditta che è fallita l’anno seguente. E quindi? Voglio dire che, normalmen­te, il Fisco contesta situazio­ni che sono sotto gli occhi, come nei casi mediatici tipo Valentino Rossi o Del Vec­chio. Mentre i redditi davve­ro nascosti restano lì. Ed è importante capire che i 100-120 miliardi di euro di eva­sione stimata sono in gran parte nascosti. Tipo quelli dei 6.715 evasori totali scoperti nel 2009? Ma no! Quelli sono 'pove­racci' tutto sommato, anche se magari meno di una volta. Cosa sono 6.715 casi davan­ti ai 4,5 milioni di partite Iva attive in Italia? È raro che u­no davvero ricco sia un eva­sore totale. Una cosa è certa: un’impresa con più di 50 o 100 milioni di fatturato ha quasi la certezza di essere controllata ogni anno, una sui 5-10 milioni sa invece di poterla fare franca. Inoltre il punto è che quando uno si accorge che quel che dichia­ra è contestato dal Fisco, ma se non dichiara spesso non succede nulla, tende a scivo­lare verso la menzogna, oc­cultando quote magari mo­deste in percentuale, ma in assoluto importanti, di rica­vi e redditi. È insomma il sistema che va ripensato? Prima di tutto bisogna supe­rare la distinzione manichea fra onesti e disonesti, una semplificazione utile solo a politici e giornali. L’evasore non è un infame, quasi sem­pre è comunque un cittadi­no che crea ricchezza e che tende a tenerne una parte per sé. È chiaro che c’è an­che una moralità diversa fra individui ma, oltre che su questa, occorre lavorare per creare un sistema che eviti sacche di convenienza fisca­le. Un nobile intento. Ma come tradurlo nella realtà? Partiamo dal quadro genera­le. Il gettito tributario è sui 400 miliardi l’anno: se quelli recuperati sono 8, bisogna chiedersi da dove arrivano gli altri 392. Premesso che 120 circa derivano dalle tratte­nute sul lavoro dipendente, il resto arriva in gran parte da imprese che hanno una struttura amministrativa 'ri­gida'. Cioè? È una struttura rigida che im­pone di rispettare le norme tributarie e fa venire fuori la ricchezza. Anche le dimen­sioni hanno il loro peso: se ho 3 dipendenti è più facile che ne tenga uno 'in nero', se ne ho 50 è difficile che ne tenga sommersi 10. E, pur senza generalizzare, l’orga­nizzazione delle imprese ita­liane, più orientate a un con­trollo familiare, tende a ral­lentare la crescita dimensio­nale anche per non rinun­ciare alla maggiore facilità di nascondere qualcosa al Fi­sco. Le Entrate come dovrebbe­ro impostare allora la loro attività? Ho letto che intenono po­tenziare gli accertamenti sin­tetici che monitorano in pa­rallelo redditi e capacità di spesa: è giusto, specie sul pia­no politico, perché va al di là di quella lacerazione sociale che è invece un po’ alla base dello strumento, comunque valido, degli studi di settore che mettono in contrappo­sizione una categoria contro l’altra. In sintesi, sarei per fa­re tante verifiche molto velo­ci, insultare di meno chi non paga le tasse e trovare i mo­di di andargliele a chiedere. Manca, fra politici, econo­misti e giuristi della materia, la consapevolezza che il gros­so del gettito arriva dalle ri­gidità aziendali e che il Fisco dovrebbe intervenire dove esse non arrivano. Facendo meno accademia, invece, su quello che è dichiarato.