L'analisi. Comunità energetiche per frenare l'inflazione
Parco eolico alle porte di Cagliari
La Bce ha tenuto la barra dritta nonostante le nostre convulsioni politiche e ha varato lo scudo antispread (Transmission Protection Instrument o TPI) assieme ad un aumento marcato del tasso di policy di 0.50 punti per combattere l’inflazione.
La questione centrale discussa in questi mesi è se e come sarà possibile far coesistere la politica di acquisto di titoli degli Stati membri (quantitative easing) e la lotta all’inflazione.
La risposta è che è possibile in diversi modi, perché molti sono gli strumenti a disposizione della Bce per realizzare le sue politiche ma soprattutto perché l’inflazione che è tornata dipende da fenomeni dal lato dell’offerta e non dal lato della domanda. Ci sono infatti pochi dubbi che all’origine ci sia stata l’esplosione dei prezzi di gas e petrolio, vista anche la loro dinamica negli ultimi mesi, che ha finito per gonfiare l’inflazione complessiva.
Ci troviamo così oggi con un tasso di variazione annuo tendenziale dei prezzi oltre l’8%. Le conseguenze sono profonde sul valore dei salari, dei risparmi e persino del debito pubblico. L’inflazione è una tassa iniqua che erode il potere d’acquisto e colpisce di più i ceti più deboli e comunque in modo molto eterogeneo rafforzando le vecchie e generando nuove diseguaglianze. Solitamente infatti, e così è anche in questo caso, i prezzi dei beni alimentari crescono di più e sono proprio i beni alimentari ad avere un peso maggiore nei carrelli della spesa dei ceti più poveri.
I ceti più abbienti e la finanza hanno invece il terrore dell’inflazione perché erode il valore di risparmi e ricchezze accumulate. L’inflazione, infine, produce effetti positivi per i debitori, perché il valore reale del debito si riduce. Non è un caso che lo scorso anno e quest’anno il rapporto debito/Pil in Italia sia sceso abbastanza significativamente.
La domanda delle domande che interessa tutti (percettori di reddito, risparmiatori, imprese, Stato) è se l’inflazione è permanente o temporanea. Quello che sappiamo è che l’effetto di forte aumento dei prezzi delle fonti fossili non dovrebbe ripetersi. Se lo stimolo iniziale che ha generato l’inflazione è temporaneo – e se quest’anno l’inflazione non ha generato meccanismi che la perpetuano – ci sono buone probabilità che l’anno prossimo l’inflazione scenda.
È ciò che si aspetta la Bce, che prevede nel 2023 un’inflazione attorno al 4%. Perché lo scenario migliore di un’inflazione in calo possa verificarsi, dobbiamo essere convinti che due meccanismi di propagazione siano disinnescati. Il primo è la tendenza delle parti sindacali a chiedere aumenti salariali proporzionali al tasso d’inflazione. Il governo uscente ha cercato di evitarlo, attenuando al contempo gli effetti sui più deboli con sistemi costosi di sussidi e compensazioni. Il secondo è la modifica delle aspettative: la genesi di fenomeni speculativi dal lato dell’offerta, che potrebbe ritardare l’immissione di prodotti sul mercato per venderli a prezzi maggiori. A tutto questo si aggiunge la debolezza dell’euro verso il dollaro, di per sé un problema perché aumenta il costo dei beni importanti. Per invertire la tendenza abbiamo bisogno di alcuni aiuti esterni, ma anche di aiutarci da noi.
Da una parte una situazione sui prezzi delle fonti fossili che non peggiori, dall’altra una modifica dei meccanismi di pricing e di approvvigionamento delle fonti di energia. Già, un Paese come l’Italia, ricchissimo di sole e vento – fonti di energia rinnovabile disponibile a prezzi molto più vantaggiosi – non riesce a ridurre significativamente la propria dipendenza dalle fonti fossili. E continua a utilizzare un sistema di prezzo marginale che ci espone alla dinamica dei prezzi di mercato anche quando produciamo energia da altre fonti. È un fatto che già oggi gli imprenditori e i cittadini più lungimiranti, diventati autoproduttori di energia rinnovabile, possono isolarsi in parte o in toto dall’aumento delle materie prime non alimentando "pro quota" la dinamica inflattiva. Ma finché sono in pochi, l’effetto sulla dinamica aggregata dell’inflazione è purtroppo trascurabile.
È notizia di questi giorni che un’asta nel Regno Unito per 11 gigawatt di energia rinnovabile è stata vinta da operatori che hanno garantito un prezzo dell’energia quattro volte inferiore a quello del gas. E che alcuni ricercatori finlandesi hanno inventato un nuovo modello di batteria che utilizzerà sabbia invece di litio. Notizie come queste sono ormai quotidiane, e non c’è alcun dubbio sul fatto che potremo avere un futuro in cui non dovremo elemosinare energia da un dittatore o un altro con il progresso tecnologico che eviterà di renderci dipendenti anche per i materiali di produzione.
È per tutti questi motivi che il cammino di liberazione ed indipendenza energetica, oltre agli effetti sul clima, può avere impatti benefici molto più ampi sulla nostra economia. Con un po’ di aiuto esterno combinato alla nostra capacità di aiutarci da soli possiamo far sì che l’inflazione di inizio anni 20 sia classificata come un fenomeno certo doloroso, ma passeggero.