Economia

Il caso. Banche, scontro tra Consob e via Nazionale

Eugenio Fatigante venerdì 10 novembre 2017

La versione Consob: Banca d’Italia non segnalò adeguatamente i «problemi» di Veneto Banca in occasione dell’aumento di capitale del 2013. La versione di Bankitalia: nel novembre 2013 via Nazionale fece presente alla commissione che vigila sui mercati e la Borsa che il prezzo dell’azione dell’istituto era «incoerente con il contesto economico », informazione «più che sufficiente a far scattare un allarme della Consob». È andato in scena così, fra reciproci scambi d’accuse, il 'giorno nero' delle Autorità che dovrebbero tutelare il risparmio degli italiani, quello che doveva vedere il confronto all’americana, faccia a faccia, fra Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza Bankitalia, e Angelo Apponi, direttore generale Consob. L’atteso confronto alla fine non c’è stato, ma la giornata è stata ugualmente tesissima. Sin dall’inizio, quando i commissari (presenti al gran completo a Palazzo San Macuto) hanno deciso di trasformare l’audizione congiunta in testimonianza, soggetta quindi alle regole del processo penale in caso di falsa testimonianza. Cambiamento in base al quale il presidente Pier Ferdinando Casini, regolamento alla mano, ha stabilito che i due fossero prima risentiti singolarmente (in diretta sul web), a partire da Apponi, ma stavolta in qualità ufficiale di 'testimoni', a differenza quindi delle loro audizioni del 2 novembre.

Con punte anche paradossali, come quando il grillino Carlo Sibilia ha chiesto a Casini di disporre che la Guardia di Finanza controllasse «Barbagallo mentre si trova qui fuori», per evitare che l’uomo di Bankitalia fosse già a conoscenza delle tesi Consob. La commissione aveva chiesto di risentire le due autorità per far luce sulle divergenze e incongruenze emerse. Alla fine, dopo essere stati di nuovo interrogati separatamente per circa 7 ore (in totale), in assenza del resoconto stenografico si è deciso per il momento di non procedere al faccia a faccia. Ma, come ha poi tenuto a precisare Casini (e ribadito Matteo Orfini, capogruppo Pd nella bicamerale), la commissione si riserva di fissare il confronto in un secondo tempo, solo se «dai verbali delle audizioni» di ieri «emergeranno difformità sostanziali, non su opinioni, ma sui fatti». Ma fra Consob e Banca d’Italia sono volate ugualmente accuse reciproche sulla crisi delle due banche venete. E, in particolare, su chi doveva controllare i prezzi delle azioni, molto saliti negli anni. Un fenomeno abnorme, al pari dei moduli di profilatura fatti rifare 'opportunisticamente' ai clienti e alle cosiddette operazioni 'baciate', ovvero i prestiti concessi ai clienti in cambio dell’acquisto di azioni della banca stessa. Un insieme che per Bruno Tabacci è un «gigantesco conflitto d’interessi». Ma è soprattutto sulla (non) efficacia dello scambio di informazioni fra i due organismi negli anni della crisi che si è appuntata l’attenzione.

Nell’audizione la Consob ha accusato di aver ricevuto su Veneto Banca nel 2013 un rapporto di Bankitalia con cui si descriveva una situazione non certo di crisi drammatica, e di essersi mossa da sola nel 2015; mentre su Vicenza non ebbe alcuna comunicazione. Banca d’Italia ha replicato che, nella lettera inviata a novembre 2013 alla Consob sull’istituto trevigiano, erano comunque evidenziate le «negative performance reddituali dell’ esercizio 2012». Quanto a Vicenza, invece, in effetti all’autorità di controllo dei mercati non arrivò alcuna comunicazione sul prezzo delle azioni e il capo della Vigilanza, che all’epoca ricopriva altro incarico, ha dato una «sua interpretazione ». Il tema, ha spiegato, non era compreso nel protocollo di collaborazione fra le due autorità. Quanto al carente meccanismo sul prezzo delle azioni, segnalato dall’ispezione di via Nazionale già nel 2001 e poi nel 2008, fu poi cambiato dopo le pressioni sul vertice della banca. In ogni caso, ha incalzato Barbagallo, «se la Consob dice che non aveva i mezzi avremmo ispezionato noi, ce lo poteva dire, avrebbe potuto tranquillamente farlo».

«Significativa» però, a parere del presidente Casini, è un’ammissione fatta dal responsabile dell’istituto di via Nazionale, quando ha detto che l’equilibrio delle competenze sui controlli da fare tra le diverse authority di vigilanza «può darsi che non sia adeguato» e che quanto è accaduto con le banche venete «impone una riflessione necessaria». D’altronde, delle lacune del sistema ha dato conto anche Apponi che, a fine testimonianza, ha sostenuto, lapidario: quello che è accaduto «nessuno può considerarlo un successo». Chiuso (per ora) questo capitolo, per la commissione si apre da martedì prossimo un nuovo, delicatissimo fronte: le vicende del Monte dei Paschi di Siena: si parte dai magistrati che indagano.