Debito e sviluppo. La Banca mondiale: «I ricchi devono fare molto di più per l'Africa»
L’Africa un caso disperato? Nient’affatto. Lo sviluppo della regione più povera del mondo è possibile, con il sostegno «ambizioso» di tutti i Paesi donatori. «Basta guardare alle condizioni terribili in cui versava l’Asia negli anni Sessanta. Si parlava di “Asian drama”, ritenendo che quel continente non potesse svilupparsi per la corruzione, i tifoni, la scarsa produzione alimentare, le guerre, come quella del Vietnam. La Cina aveva il 90% della popolazione in condizioni di estrema povertà. Oggi guardiamo dove sono la Cina, il Vietnam, Singapore, ma anche l’Indonesia, l’India e il Bangladesh, che ora ha un reddito pro capite più alto di quello dell’India stessa. Dall’Africa non si può prescindere: c’è bisogno di ancora più impegno. Possiamo fare la differenza nella vita delle persone, ma anche creare incredibili nuove opportunità di investimento e commercio e uno sviluppo pacifico e prospero per tutti».
Axel van Trotsenburg sa bene di cosa parla. Direttore generale di Banca mondiale, numero due dell’organizzazione fondata nel 1944 e che è tuttora la principale fonte di donazioni e prestiti agevolati ai Paesi fragili, van Trotsenburg si occupa principalmente del modo in cui la Banca mobilita risorse finanziarie nei contesti più vulnerabili. Insicurezza alimentare, adattamento al cambiamento climatico, debito, crescita del mercato del lavoro: Banca mondiale è impegnata al fianco degli organismi multilaterali su crescita e stabilità. Dall’Africa all’Ucraina, dal Sudamerica all’Est Europa, il suo sforzo si concretizza con il sostegno dei Paesi donatori , in particolare per l’Ida, il suo fondo per i Paesi più poveri.
A dicembre si concluderà il processo triennale di “rifornimento” degli impegni finanziari dei Paesi donatori nei confronti dell’Ida, risorse che poi Banca mondiale utilizzerà nei Paesi fragili. Quale somma considera un buon obiettivo?
L’Ida è il principale fondo di risorse agevolate, soprattutto per l’Africa. Al di là della somma raccolta ogni tre anni, l’importo complessivo è ancora più alto, perché noi riusciamo a moltiplicarla sul mercato dei capitali, consentendo per ogni dollaro un effetto leva di tre volte e mezzo. Ciò vuol dire che siamo riusciti a incrementare notevolmente, portandoli a 93 miliardi di dollari, i 23,5 miliardi raccolti tre anni fa dai donatori. Ora vogliamo mantenere l’ambizione di un buon risultato e andare oltre questa cifra, anche se sappiamo delle difficoltà attuali dei Paesi donatori. L’importante è che si arrivi a un ammontare consistente di solidarietà, il più ambizioso possibile.
Una cifra superiore ai 100 miliardi?
Potrebbe essere. Anche il settore privato sta incrementando i suoi investimenti in Africa in maniera sostanziale. Stiamo parlando, stiamo spingendo, stiamo trattando, e non contiamo solo sulla solidarietà, ma anche su una lunga e buona cooperazione con tutti i Paesi donatori.
Capitolo debito: serve una modifica ai meccanismi dell’architettura finanziaria globale?
Il problema del debito è evidente in molti Paesi vulnerabili: alcuni sono già in una situazione di insolvenza e vanno sostenuti, altri sono a rischio di arrivarci. Dobbiamo ricordare che il panorama dei donatori e dei creditori è molto cambiato negli ultimi 25 anni. Prima si trattava soprattutto di creditori del Club di Parigi (che comprende 22 Paesi ricchi, ndr), mentre oggi ci sono molti creditori privati. La questione è: come unire tutti? Stiamo lavorando all’interno del cosiddetto “Quadro comune” del G20, che mette insieme tutte le parti con l’obiettivo di trovare soluzioni unitarie. Per velocizzare questo processo, Banca mondiale e Fmi hanno creato il Tavolo globale sul debito sovrano, che riunisce debitori e gruppi di creditori perché ci si ascolti l’un l’altro per soluzioni comuni. Ad esempio, abbiamo avuto successo sul caso Zambia, ma certo abbiamo bisogno di raggiungere accordi in maniera più rapida.
Sono allo studio anche altre soluzioni?
C’è bisogno di migliorare i sistemi di gestione del debito, con segnali di avviso che anticipino meglio quando una situazione sta peggiorando. Inoltre, in un contesto di deterioramento, un Paese deve poter ottenere sufficienti risorse agevolate. Questi Stati fragili hanno un incredibile bisogno di investimenti, e siamo già in ritardo per quello che riguarda gli obiettivi di sviluppo sostenibile: mantenere l’impegno nei loro confronti è estremamente importante.
Papa Francesco ha chiesto la cancellazione del debito. Pensa sia un obiettivo raggiungibile e Banca mondiale può condividere questo appello?
Mi faccia capovolgere i termini della questione: stiamo mobilitando risorse che provengono dai contribuenti di tutti gli Stati, Italia compresa, ma queste risorse non sono illimitate. Sarebbe meraviglioso poterlo fare, ma noi già garantiamo prestiti di lunghissima scadenza e ai più poveri tra i poveri assicuriamo donazioni. Quando si propone la cancellazione del debito, molti creditori si allontanano. Ma noi non ce ne andiamo dai Paesi poveri, restiamo impegnati come partner di lungo periodo e siamo sensibili al problema del debito, modificando i termini di questo impegno e includendo donazioni quando la situazione si fa difficile. Il mio auspicio è che anche i creditori possano copiare ciò che la Banca mondiale fa: in quel caso il problema del debito si risolverebbe molto rapidamente.
L’Africa avrà un boom demografico da qui al 2050, con la necessità di creare sempre più lavoro. Quali strategie è possibile adottare per sostenerla?
È vero. Nel 1950 l’Europa aveva una quota del 22% della popolazione mondiale, mentre nel 2050 sarà appena il 7%. Nel 1950 in Africa viveva il 7% della popolazione mondiale, che diventerà il 22% nel 2050. È una grande sfida quella di assorbire tutti questi giovani nella forza lavoro, ma dobbiamo guardare a tutte le opzioni. Nei Paesi a basso reddito bisogna capire come stimolare la crescita, creare opportunità di lavoro sul mercato interno, anche in agricoltura. Questo ha a che fare con gli investimenti e con la mobilitazione di risorse private attraverso gli uffici di Banca mondiale che se ne occupano, perché è il settore privato che potrà creare lavoro, più che i governi.
La sfida del cambiamento climatico: c’è la volontà politica di affrontarlo?
L’Africa ha un impatto veramente limitato sulle emissioni globali, circa il 3%, ma ne è colpita in maniera sproporzionata. Disastri naturali, siccità estese, inondazioni. Il cambiamento climatico è reale e sta già mietendo molte vittime. Per noi clima, sviluppo e riduzione della povertà non sono temi separati: non è possibile scollegarli. Tutti devono fare di più: settore pubblico, privato, organismi multilaterali. A partire dal 2020 abbiamo raddoppiato i nostri finanziamenti legati al clima: in questo periodo siamo passati da 20 a 43 miliardi, e siamo andati avanti sia nell’agenda dell’adattamento che della mitigazione. C’è grande attenzione sulla Cop29 di Baku di novembre e dobbiamo assicurare i finanziamenti. La sfida è cruciale, perché in questo scenario restano molti problemi, non solo il clima ma i postumi del Covid, i grandi conflitti come l’invasione russa in Ucraina che sta costando enormi quantità di denaro: tutti nodi che i governi devono gestire. Banca mondiale apprezza che nonostante tutto questo continuino gli impegni per i più fragili: anche l’Italia durante la presidenza del G7 ha posto molta attenzione sull’Africa.
Un’ultima domanda sul fronte Ucraina, dove oggi il 29% della popolazione vive in povertà. Come sta intervenendo lì Banca mondiale?
Banca mondiale è stata al fianco dell’Ucraina dal primo giorno e abbiamo provveduto con un grande sostegno finanziario, mobilitando oltre 47 miliardi di dollari. I bisogni per la ricostruzione sono enormi e insieme all’Unione Europea e al governo ci occupiamo anche della ricognizione dei danni: il nostro sostegno a Kiev è fermo e continua.