Difetti e problemi. Auto “richiamate”: perchè così tante?
I “richiami” delle auto da parte delle case automobilistiche che le producono e che poi invitano i clienti a riportarle in officina per sistemare qualche difetto di serie, sono sempre più frequenti. Anche tralasciando gli adeguamenti a cui si stanno sottoponendo da mesi molti modelli del Gruppo Volkswagen in seguito allo scandalo del dieselgate (Audi in questi giorni sta richiamando 31.200 A6 e A7 Sportback con i motori V TDI in Germania, primo degli otto richiami da attuare che riguarderà circa 151.000 veicoli), anche Chrysler Pacifica Phev, Jeep Renegade e Cerokee sono protagoniste di tre distinti richiami in Nord America; per non dire di Toyota che ha da poco richiamato 1,6 milioni di auto per colpa di airbag difettosi. Altrettante auto diesel a rischio incendio sono state ritirate da parte di Bmw. E Subaru è attualmente impegnata in un richiamo addizionale di 100mila autovetture, a causa di ispezioni negligenti che in questo caso riguardano possibili problemi al sistema frenante. E sono solo gli esempi più recenti.
Quello dei richiami è comunque un tema da affrontare con i guanti: se in alcuni casi il difetto di fabbrica è importante, altre volte la lettera di convocazione in officina è dovuta a imperfezioni di pochissimo conto. Ed è, anzi, indice di esemplare serietà e correttezza da parte del costruttore.
Per Giuseppe Berta, docente in Bocconi e storico dell’economia, oltre a essere la memoria storica di casa Fiat, la ragione risiede nella evoluzione stessa che sta affrontando il comparto, sempre più orientato all’elettronica e al fatto che i fornitori delle piattaforme sono «trasversali» a tutto il settore. Se dunque un errore si manifesta su un’auto, il medesimo facilmente si esprimerà anche su veicoli di altre case produttrici. «Quello dei richiami delle auto è un tema sul quale ci si è interrogati a lungo. Che cosa sta avvenendo? Perché tutti questi richiami? È chiaro, anzitutto, che oggi - ha spiegato Berta all'agenzia AdnKronos - c’è una attenzione molto più alta che in passato, basti pensare alle class action americane. Ma come mai si incorre in questi difetti, in questi errori di fabbricazione? La mia ipotesi, che non posso suffragare con dei numeri, è che oggi nel sistema dell’auto hanno grande peso i fornitori, i cosiddetti sistemisti, di primo livello, cioè quelli che forniscono ai produttori finali gran parte dei loro devices tecnologici. Questi fornitori sono trasversali. Non servono una solo a casa automobilistica, ma spesso le servono tutte, o quasi. Perciò possono facilmente indurre un fenomeno di contagio».
Sistemisti sono realtà come Bosch o Magneti Marelli, coloro che forniscono sistemi complessi trasversali al settore auto, cita ad esempio il professore. «Perciò se c’è un difetto, se c’è un problema, è più facile che si generalizzi. In questo senso si trasmette il contagio. Questa, d’altra parte, è la frontiera tecnologica: noi produciamo le auto con sistemi sempre più difficili da controllare sotto il profilo tecnologico. Oggi l’automobile cosa sta diventando, se non lo è già diventata? Un computer con le ruote. Questo, naturalmente - osserva Berta - la rende più fragile».
Una trasversalità, quella dei fornitori, dei sistemisti «che emerge nell’ultimo decennio circa. Il peso è crescente perché è aumentato il peso dell’elettronica, enormemente, e dei dispositivi di controllo elettronici». In sostanza, un combinato disposto tra il fornitore unico e la crescita di peso dell’elettronica «porta alle note conseguenze. I sistemi di controllo sono sofisticati ma anche, inevitabilmente, più fragili». «In questo ragionamento - sottolinea il docente - non considero i tentativi di alterare i software sulle emissioni inquinanti. Probabilmente anche questo ha contato qualcosa, ma non lo sappiamo. Siamo passati, brutalizzo con uno slogan, dall’auto come sistema meccanico all’auto come sistema di elettronica più meccanica. Ma l’elettronica - chiosa Berta - è determinante».