L'analisi. I nuovi poveri della mobilità, il rischio dell'auto "green"
Si sapeva fin dall’inizio che il processo di elettrificazione della mobilità non sarebbe stato in discesa, ora però c’è la fondata possibilità di una brusca marcia indietro. Dopo l’allarme lanciato dall’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, che nei giorni scorsi aveva definito la corsa verso l’adozione dell’alimentazione 100% elettrica per le auto «una scelta solo politica, che spinge al rialzo i prezzi e rischia di tagliare fuori il ceto medio dall’acquisto di nuovi veicoli», arriva ora la forte stroncatura dell’Acea, l’associazione che rappresenta i costruttori europei. Il tema in discussione non è la transizione stessa, ma i tempi che la Commissione Europea ha dettato per realizzarla, definiti dall’Acea «irrealistici e pericolosi per le conseguenze che potrebbero generare a livello sociale».
Sotto accusa in particolare è la prossima tappa del processo in atto, cioè la nuova normativa antinquinamento Euro 7, con i relativi e ulteriori tagli delle emissioni per i motori Diesel e benzina, che da calendario dovrebbero essere introdotti dal 2025. Emissioni che – facendo media con quelle più virtuose dei veicoli elettrificati – dipendono inevitabilmente dalla diffusione parallela di questo tipo di alimentazione. In realtà non esiste ancora una data certa entro la quale i costruttori auto dovranno adeguare la tecnologia dei loro propulsori. Frenata da molte perplessità all’interno della stessa Commissione Ue, la decisione definitiva è infatti slittata da luglio 2021 al prossimo aprile, causando enormi ritardi nella pianificazione degli investimenti da parte delle case automobilistiche, che non dispongono a oggi di una precisa scadenza, nè di procedure di omologazione sulle quali testare i futuri motori. Molti esperti ritengono comunque irreale il 2025 come anno di ingresso della norma Euro 7, e c’è chi chiede a gran voce uno slittamento fino al 2028 per poter rivedere al meglio le strategie di investimento.
«La riduzione del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030 era già una sfida molto impegnativa – denuncia il direttore generale di Acea, Eric-Mark Huitema – ma i nuovi tagli sono purtroppo irrealistici. Sarebbero raggiungibili solo a fronte di un massiccio incremento delle infrastrutture di ricarica elettrica, arrivando a 7 milioni di punti di rifornimento contro i 3,9 milioni proposti dalla Commissione e i 200.000 attualmente disponibili». Secondo Huitema, «la politica deve fare di più per garantire che nessun Paese e nessun cittadino sia lasciato indietro, e che i veicoli a zero emissioni siano disponibili e alla portata di tutti, per non creare i nuovi poveri della mobilità. Altrimenti con questa nuova tecnologia, la mobilità individuale rischierà di diventare un lusso alla portata di pochi, creando inevitabili tensioni sociali e un completo stravolgimento della libertà di movimento per come la conosciamo oggi».
Ma l’allarme arriva anche dalle fabbriche e dai sindacati. La misura Ue che prevede lo stop totale entro il 2035 alla vendita di nuove auto che producono emissioni di carbonio (dunque anche le ibride), e confermata dal nostro governo, «se non accompagnata da interventi potrebbe portare in Italia a una perdita di circa 73.000 posti di lavoro, di cui 63.000 nel periodo 2025-2030». È quanto viene sottolineato nelle considerazioni dell’Osservatorio automotive di Federmeccanica, Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm. Più in generale l’accelerazione sulle auto a batteria senza ancora un reale mercato di riferimento, ha generato i primi effetti a Bari con la direzione dello stabilimento Bosch, focalizzato sui motori endotermici, che ha annunciato nei giorni scorsi 700 esuberi nei prossimi 5 anni, su un organico di 1700 addetti. Un annuncio che fa di Bari anche la prima crisi aziendale in Italia causata dal passaggio all’auto elettrica e dunque un primo caso di riconversione industriale da finanziare con i fondi del PNRR in tema di transizione ambientale.
Tornando alle emissioni, lo scorso anno la Commissione europea aveva proposto di fissare un obiettivo di riduzione nel 2030 al 55% rispetto al 2021 ma dopo un’attenta revisione della prima bozza, il gruppo consultivo sugli standard di emissione dei veicoli AGVES (Advisory Group on Vehicle Emission Standards) ha dichiarato che le raccomandazioni da esso stesso presentate alla Commissione europea non erano tecnicamente fattibili. Nel frattempo è parere di molti addetti ai lavori che l’elettricità potrebbe non essere l’unica soluzione praticabile per i produttori. Tutti i grandi gruppi stanno lavorando sugli e-Fuel e su carburanti alternativi di origine non fossile. E sono ormai pronte tecnologie per abbattere – attraverso l’uso di sistemi ibridi e sistemi di gestione avanzata dell’iniezione di benzina e di gasolio – le emissioni a valori che sono addirittura migliori di quelli, valutati sull’intero ciclo produttivo, energia compresa, dei modelli 100% elettrici. In quest’ottica si parla anche di un nuovo motore Diesel italiano omologato Euro 7 che Stellantis realizzarebbe nello stabilimento di Pratola Serra (Avellino). A svelarlo è stato il numero uno di Stellantis in persona, Carlos Tavares, in occasione di una visita presso l’impianto campano. Un progetto tecnico che potrebbe vedere la luce nel giro di 14-15 mesi e dovrebbe aprire in quest’area una serie di prospettive commerciali inaspettate in mezzo a programmi quasi interamente incentrati sulla propulsione elettrica.