Alimentare. L'aumento del prezzo del cibo (che l'Italia ancora non sente)
Una ragazza fa la spesa al supermercato
Il prezzo del cibo ha raggiunto il massimo degli ultimi undici anni. Il Fao Food Price Index, l’indice con cui l’organizzazione delle nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura misura l’andamento dei prezzi delle materie prime alimentari, a ottobre è salito per il quarto mese consecutivo fino a raggiungere i 133,2 punti, il 3% più da settembre, 17% in più rispetto a gennaio e il 31,3% in più nel confronto con ottobre 2020.
Per trovare un indice dei prezzi alimentari a questi livelli, nota la Fao, bisogna tornare all’estate del 2011. In termini reali, cioè tenendo conto dell’aumento dei costi delle importazioni, l’indice della Fao è però già superiore ai massimi del 2011 e sembra diretto verso il picco storico toccato a metà degli anni ‘70.
L’aumento dei prezzi riguarda, con diversi gradi, tutte le grandi categorie alimentari incluse nell’indice della Fao. Negli ultimi dodici mesi le quotazioni della carne sono aumentate del 22,1%. quelli dei latticini del 15,5%, quelle dei cereali del 22,4%. Sono andati fuori controllo i prezzi degli oli vegetali, aumentati del 73,6% in un anno, mentre quelli dello zucchero sono cresciuti del 40,6%.
Il rincaro di alcuni prodotti specifici è particolarmente preoccupante. A partire dal grano, le cui quotazioni sono salite del 38,3%: «La disponibilità più limitata sui mercati globali a causa della riduzione dei raccolti nei principali esportatori, in particolare Canada, Russia e Stati Uniti – scrive la Fao – ha continuato a esercitare pressioni al rialzo sui prezzi. La riduzione delle forniture globali di grano di qualità superiore, in particolare, ha esacerbato la pressione, con le qualità premium che hanno guidato l’aumento dei prezzi». Sugli oli vegetali pesa invece la carenza di lavoratori migranti in Malesia, provocata dalle restrizioni per contrastare la pandemia, che ha ridotto drasticamente la disponibilità di olio di palma. Per lo zucchero, che a ottobre ha però registrato la prima discesa mensile da sei mesi, il problema principale è il taglio della produzione in Brasile.
La Fao non lo sottolinea, ma diversi osservatori sì: la corsa dei prezzi del cibo, dieci anni fa, fu tra le cause che scatenarono quella che sui media fu chiamata Primavera Araba, uno dei grandi eventi destabilizzanti del decennio passato. Restringendo lo sguardo sulla sola Italia, quello che preoccupa è che buona parte di questi rincari devono ancora essere “scaricati” sui consumatori finali. Nonostante l’inflazione abbia raggiunto livelli molto elevati (il 2,9% di ottobre è il massimo dal 2012) la crescita dei prezzi degli alimentari (che pesa per quasi un quinto del paniere Istat) è rimasta relativamente contenuta: +1,3% in un anno.
Sono pochi i prodotti alimentari che hanno segnato rincari davvero pesanti sul prezzo finale: l’olio di oliva (+4,7%), gli oli di semi (+17,7%), la pasta (+4,6%) e il pesce (+3,1%). Per prodotti come la carne bovina o i salumi (entrambi +1,3%) il rincaro c’è ma non è enorme, il prezzo della frutta risulta in calo dello 0,9%, quello dei vegetali in aumento dello 0,6%. Lungo la filiera è però visibile la tensione tra produttori e distributori su chi deve farsi carico di contenere la crescita dei prezzi finali. Solo nei prossimi mesi si capirà davvero quanto la corsa dei prezzi globali si farà sentire alla cassa dei nostri supermercati. La continua crescita delle vendite dei discount (+6,5% da gennaio, contro il +0,6% dei supermercati tradizionali) conferma però che per molte famiglie il problema dei rincari è già qui.