Previsioni. Assunzioni in crescita nei prossimi mesi
Assunzioni in ripresa nel II trimestre
Inapp: al Sud un terzo dei giovani non studia e non lavora
Non solo i tassi di occupazione del Sud sono strutturalmente più bassi di quelli nazionali (22 punti percentuali in meno rispetto al Nord), ma anche il tasso di variazione dell’occupazione negli ultimi 20 anni mentre è cresciuto nella media italiana del 2,6 %, al Sud ha registrato un valore negativo -3,6%. A questo va aggiunto il tasso di inattività per le persone 15-64enni che nel 2020 è stato del 47%, con una quota rilevante di donne 60% contro il 44% della media italiana. Senza dimenticare il fenomeno Neet dei giovani, un terzo circa (32% maschi e 34% femmine) non studia e non cerca lavoro. Il Mezzogiorno inoltre registra un reddito per abitante di 19mila euro, poco più della metà di quello delle regioni del Nord e solo il 55% rispetto alla media del Centronord. Una fotografia in chiaroscuro quella che l’Inapp ha scattato in occasione dell’inaugurazione della nuova sede operativa dell’Istituto a Benevento, un polo che ha come obiettivo quello di dialogare con le istituzioni, gli stakeholder, le Università e i centri di ricerca del Sud per fornire un supporto agli attori del territorio in termini di approfondimento di analisi e di promozione di collaborazioni per la qualificazione delle politiche di intervento.Intesa Randstad-South Worker per contenere l'emigrazioneAgevolare l’assunzione di lavoratori del Sud Italia presso aziende del Centro-Nord, permettendo loro di lavorare in smart working dai territori d’origine ed evitare lo spopolamento dei borghi. È l’obiettivo del protocollo d’intesa siglato tra Randstad e South Working, associazione che studia e promuove il lavoro agile svolto in luoghi distanti dall’azienda, in particolare dal Sud Italia e dalle aree marginalizzate, supportato da Fondazione Con il Sud. E da oggi, inserendo il tag #southworking alla piattaforma Randstad.it, è possibile candidarsi per un’offerta di lavoro operando da remoto dal Sud o da piccoli centri. Nella pagina “SW® x Aziende” sul sito southworking.org sarà possibile accedere alla sezione “South Working® x Randstad” nel menù dove si troveranno le procedure per la ricerca degli annunci di lavoro in modalità «south working» offerti dalla rete di aziende afferenti a Randstad. La collaborazione tra Randstad e South Working prevede, inoltre, la partecipazione al Bando Borghi del ministero della Cultura per promuovere progetti per la rigenerazione, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale dei piccoli centri italiani, favorendone il rilancio sociale ed economico. Il protocollo è parte del Progetto Coesione, iniziativa di Randstad legata alle attività del Pnrr, che vuole creare nuove modalità di lavoro per promuovere la coesione territoriale e contenere l’emigrazione da sud a nord, che sta causando lo spopolamento dei piccoli borghi del centro/sud Italia e delle aree più remote del nostro Paese. Il Progetto Coesione è sviluppato da Randstad attraverso l’intermediazione e creazione di partnership tra pubblico e privato, la realizzazione di progetti formativi col mondo dell’istruzione e lo scouting di finanziamenti, in modo da agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in luoghi geografici diversi. Oltre alla modalità South Working, dedicata a tutte le professioni in grado di lavorare da remoto, il progetto prevede la creazione di strutture dedicate a personale amministrativo e/o informatico: i “rural office”, piccoli uffici in aree interne del mezzogiorno con elevati tassi di disoccupazione giovanile, i “south hub” o “presidi di comunità”, uffici con più di 15 lavoratori in piccole e medie città del meridione con buoni collegamenti a stazioni e aeroporti.Dopo il diploma un giovane su cinque preferirebbe lavorareLa pandemia ci restituisce una generazione di giovani intenzionati a smentire le etichette affibbiate loro dagli adulti, che negli anni li hanno descritti con termini come "bamboccioni" o choosy. Senza peraltro restituirgli attività di orientamento scolastico degne di questo nome: basti pensare che, alle scuole superiori, il 45% degli studenti ancora non ha chiaro cosa fare dopo il diploma. Un dato che è preoccupante perché si manifesta in proporzioni simili anche tra le ragazze e i ragazzi che tra poco meno di cento giorni dovranno scegliere cosa fare dopo la maturità. A segnalarlo è Dopo il diploma, la ricerca condotta da Skuola.net su un campione di 3mila alunni delle scuole superiori, in occasione della Elis Open Week, l’evento organizzato da Elis – realtà non profit che forma persone al lavoro – per avvicinare le aziende leader nei settori tecnico-tecnologici agli studenti. La Generazione Z, dunque, sembra non volersi rassegnare a ingrossare le file dei cosiddetti Neet, quei giovani che non studiano e non lavorano. La voglia di mettersi in gioco sin dai banchi di scuola è un elemento molto presente e da non sottovalutare. Pur essendo impegnati nella principale occupazione di studenti, infatti, quasi la metà (45%) dei ragazzi intercettati dall’indagine di Skuola.net ed Elis racconta che già sta facendo delle “prove tecniche di lavoro”, per crearsi un piccolo salvadanaio o togliersi qualche sfizio: il 26% lo fa nei periodi di pausa dalla didattica (vacanze estive, natalizie eccetera), il 19% anche durante i mesi di scuola. In sei casi su sette si tratta dei classici “lavoretti” (cameriere, baby-sitter, fattorino eccetera). Ma è significativo che uno su sette guadagni puntando su lavori “digitali”, ovvero quelli che sfruttano il web e le nuove tecnologie informatiche. I più diffusi? In rigoroso ordine di preferenze riguardano ambiti come l’e-commerce, lo sviluppo e la gestione di app e servizi online, la gestione di pagine social, il fintech (acquisto/vendita di criptovalute, trading online), l'influencer marketing, il gaming e l’informazione online. Non è raro, quindi, imbattersi in adolescenti che acquistano prodotti griffati da rivendere online oppure in social media manager in erba o in gamer che coltivano account di gioco ricchi di punti esperienza e potenziamenti per poi venderli. Per non parlare dei visibili e molto ambiti influencer sulle varie piattaforme di social media e streaming. Anche la complicata relazione tra formazione e mondo del lavoro sembra stia iniziando a cambiare, a oltre un anno dall’insediamento del governo Draghi, che ha puntato molto sul rilancio della filiera di istruzione secondaria tecnico-professionale e sulla creazione di percorsi post diploma professionalizzanti, come gli Its. Circa uno su cinque, subito dopo il diploma, punta proprio ad avere presto un’occupazione: l’8% immettendosi direttamente nel mercato del lavoro, il 10% seguendo un corso - Its o similare - che gli permetta di specializzarsi ma accorciando il tragitto che porta dai banchi di scuola al lavoro. E, tra quanti hanno invece in programma di andare all'università, una quota simile - il 19%, che tra i maschi sale fino al 26% - cambierebbe idea se venisse a conoscenza di un percorso alternativo capace di garantire ampie possibilità di collocamento e opportunità di carriera. Non mancano poi quelli (il 7%) che sarebbero interessati ad entrare nelle forze armate o di polizia. Di contro, complice forse anche l’incertezza in cui stiamo vivendo negli ultimi tempi, l’obiettivo laurea sembra registrare un calo di appeal. E’ vero che rimane la strada maestra per la metà degli studenti delle superiori, ma la flessione è sensibile: rispetto alla stessa indagine, svolta lo scorso anno, ben l’11% di studenti in meno è intenzionato a considerare solo ed esclusivamente l’opzione università dopo il diploma. Una ricerca di maggiore “praticità” dai percorsi di formazione che non sembra essere isolata tra i nostri adolescenti, visto che quest’anno per la prima volta i licei hanno registrato una flessione delle iscrizioni rispetto a dodici mesi fa: un fatto storico che non avveniva da una decade. Tuttavia, emerge una preoccupante e diffusa incertezza su quello che accadrà dopo la scuola: uno studente su cinque immagina che i mesi successivi al suo diploma saranno dedicati alla riflessione sul futuro o addirittura a un anno sabbatico. Mentre uno su 1dieci si rifugia nella sempreverde prospettiva di “andare all’estero per tentare la fortuna”. Si tratta di un popolo composto potenzialmente da centinaia di migliaia di studenti, che rischiano di perdersi. Perché sarebbe un peccato disperdere un capitale umano che sembra pronto a guardare il mondo del lavoro in maniera diversa dai propri genitori e in linea con le prospettive attuali. Nel Paese dove il posto fisso è uno degli obiettivi principali delle mamme e dei papà per i propri figli, un ragazzo su quattro vorrebbe al contrario costruire qualcosa di suo, calandosi nei panni dell’imprenditore. Mentre il 23%, pur non osando aspirare a tanto, si immagina da grande come un lavoratore autonomo per avere più libertà. Solamente il 20% aspira ancora alla sicurezza del “tempo indeterminato”. Tuttavia, di nuovo, non tutti hanno pensato al proprio futuro professionale: il 32% degli intervistati ancora non l’ha fatto. A differenza degli aspiranti capitani d’azienda, la maggior parte dei quali (59%) pensa di avere già in mano l’idea vincente. Mentre uno su dieci sta già sviluppando la sua impresa insieme a un gruppo di amici.