Economia

INCHIESTA. Arzignano ora si ribella al gioco dei «furbetti»

Diego Motta lunedì 10 ottobre 2011
Come animali feriti, gli industriali del distretto della concia di Arzignano hanno annusato l’aria e sono tornati nelle loro tane. Perché in questi giorni l’odore degli scandali che ha scosso questa terra è persino più forte di quello che esce dai loro stabilimenti. Il mostro dell’evasione fiscale è apparso all’improvviso nelle cronache nazionali, ma non si può dire che da queste parti nessuno sapesse. Tutt’altro.L’ultimo caso, quello dell’azienda Mastrotto Group, accusata di aver sottratto all’Erario oltre 1,3 miliardi di euro e di aver pagato in modo irregolare centinaia di dipendenti, ha lasciato il segno. Se possibile, molto di più del precedente di Andrea Ghiotto, un faccendiere finito al centro di un clamoroso giro di tangenti, escort e corruzione a più livelli. «Il Mastrotto xè un industriale, il Ghiotto no» dicono al bar del paese. Il primo è stato ed è (dicono) un benefattore della comunità locale, il secondo un disinvolto e discusso affarista innamorato del proprio ego.Eppure per i finanzieri, l’accusa è la stessa: entrambi hanno messo in piedi una maxi-organizzazione per aggirare il Fisco. Nel mezzo, c’è questo pezzo della provincia di Vicenza, con le sue 489 imprese e oltre 8.500 lavoratori, balzato alle cronache come l’avamposto nazionale dei super-furbetti. Attraversare adesso questa terra vuol dire raccogliere il senso di sconforto e insieme di ribellione di chi avverte che ormai, nel rapporto con lo Stato, siamo arrivati al punto di non ritorno.Ripartire dalle regoleHa fatto male vedere il produttivo Nord Est ridotto a pura e semplice caricatura, con tanto di monumenti dedicati all’evasore fiscale e di sceneggiate a uso tv inneggianti alla secessione fiscale. Per fortuna, in modo sotterraneo, c’è chi ha deciso di dire «basta». «Serve una grande operazione di emersione dal nero» spiega Giorgio Refosco, segretario provinciale della Cisl di Vicenza. Un impegno a fare pulizia, al più presto, perché i primi a risentire del danno d’immagine arrecato al distretto dagli ultimi scandali sono proprio imprenditori e lavoratori che producono regolarmente. È quello che Mirko Balsemin, titolare della storica conceria Nice di Zermeghedo, chiama «il bisogno di un bagno nel Gange, di una purificazione completa. Chi ha sbagliato, deve pagare. Poi però dobbiamo dire: adesso possiamo ricominciare?». L’orgoglio di chi, da generazioni, ha garantito lavoro e sviluppo al territorio deve fare i conti con un senso di smarrimento che comincia a diffondersi. Si sta un po’ ripetendo quello che si verificò agli albori del successo della concia. «L’acquisizione e la condivisione di un benessere sempre più alla portata di tutti – racconta Balsemin – è stato il collante che ha stabilito nella comunità un patto silenzioso e invisibile di accettazione dell’inquinamento e spesso di uno scarso rispetto delle regole». Sì, perché l’equazione «concia uguale puzza e inquinamento» è dura a morire. E ora la faccenda dell’evasione fiscale ha complicato maledettamente le cose.«Le due vicende, almeno un risultato l’hanno prodotto: tutti hanno capito che è necessario fare qualcosa e si percepisce almeno in superficie una sensibilità che prima non c’era» riconosce l’esponente della Cisl, convinto che «potrebbero esserci altri casi come quelli appena scoperti». Prendete il fenomeno degli straordinari in nero: per Refoschi è una diretta conseguenza della «mancata contrattazione collettiva nel settore. L’ultimo contratto provinciale è stato firmato all’inizio degli anni Duemila e da allora non è mai più stato rinnovato». «Ma anche i lavoratori devono fare la propria parte perché se il sistema ha mostrato delle crepe, la responsabilità è di tutti» replica Balsemin.Balsemin e Refoschi sono due voci fuori dal coro, in un settore che invece si è retto per anni su complicità e circoli viziosi che hanno stretto imprenditori e maestranze in un unico, soffocante abbraccio. Per questo, è significativo che da loro nasca l’idea di un «patto etico» condiviso, con la firma di tutti i soggetti-chiave presenti ad Arzignano e dintorni: aziende, sindacati, Guardia di Finanza, Prefettura ed enti locali.Gli occhi della comunitàPer convincere chi produce, detiene e distribuisce ricchezza a stare senza tentazioni (o a rientrare) dentro i confini della legalità, occorre però un segnale anche sul fronte della pressione fiscale. «Ho chiesto al mio commercialista di dirmi quanto pago, in termini di tasse, allo Stato – si infervora Bernardo Finco, consigliere dell’associazione industriali di Vicenza – Sa a quanto sono arrivato? All’82%. Quest’anno abbiamo battuto tutti i record. È evidente che così non possiamo più andare avanti». Ecco il secondo passo da compiere: dopo aver fatto pulizia, «occorre responsabilità» dice Balsemin. «Le aziende vanno aiutate attraverso la defiscalizzazione del costo del lavoro, a favore del dipendente» continua Finco. Meno imposte su chi lavora, dunque, per disincentivare la pratica degli straordinari in nero e garantire stipendi più alti in busta paga.L’evasione fiscale si combatte facendo terra bruciata intorno a chi continua a fare come se niente fosse. «C’è un problema culturale da affrontare alla radice – sottolinea Refosco – per eliminare possibili connivenze tra datori di lavoro e manodopera». Meglio costringere chi fin qui ha accettato la logica del «così fan tutti» a trovare "conveniente" il rispetto delle regole. «Le delazioni non servono, è bastata la crisi perché si accendessero i riflettori su chi evade, rendendo il fenomeno inaccettabile agli occhi della comunità». Ora si tratta di iniziare davvero un percorso condiviso, in grado di scacciare al più presto dal distretto di Arzignano il fetore degli ultimi scandali.