L'indagine. Caporalato nei campi toscani: 10 ore al giorno per pochi euro
Un momento dell'operazione dei carabinieri del comando di Livorno contro il caporalato, 29 aprile 2024. I militari hanno eseguito una misura di custodia cautelare in carcere nei confronti di 10 persone gravemente indiziate, a vario titolo e in concorso tra loro, del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di 67 extracomunitari ospitati nel Cas di Piombino, impiegati per la raccolta di ortaggi e olive e per la pulizia di vigneti nelle province di Livorno e Grosseto
Sgobbavano per oltre dieci ore al giorno, spesso a piedi nudi, nei vigneti oppure a raccogliere olive e ortaggi. Senza pause di riposo, né rispetto delle norme sulla sicurezza. E con paghe orarie da fame: da 3 a 9 euro, ma in almeno un caso appena 97 centesimi, versati in ritardo di mesi e qualche volta mai, e comunque «ampiamente al di sotto degli 10,56 euro previsti dalla contrattazione collettiva». Così, 67 richiedenti asilo e beneficiari di protezione umanitaria di nazionalità pakistana o bengalese venivano sfruttati da connazionali in Toscana.
L’inchiesta, iniziata nel maggio 2023, si è chiusa a febbraio. Infine, motivandola col rischio di reiterazione del reato, su richiesta della procura di Livorno il gip ha disposto l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di dieci indagati, tutti pakistani e d’età compresa tra 30 e 56 anni, residenti tra le province di Siena e Grosseto (due di loro sono però riusciti a evitare l’arresto perché nel frattempo si erano recati all’estero). Un «plauso» alle indagini dei Carabinieri arriva dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che ribadisce «l’impegno del governo Meloni per combattere lo sfruttamento dei lavoratori nel settore agricolo».
Gli indagati sono sei titolari di altrettante ditte individuali fornitrici di lavori e servizi nel settore agricolo, e quattro loro connazionali che li aiutavano nell’opera di reclutamento dei lavoratori. I reati ipotizzati dagli inquirenti sono o quelli di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
L’inchiesta della procura livornese è stata affidata ai carabinieri di Piombino, col supporto dell’Ispettorato del lavoro. Gli investigatori hanno iniziato a indagare dopo essersi incuriositi per l’eccessivo via vai di furgoni davanti al Cas “Le Caravelle” di Riotorto, un ex villaggio turistico vicino al mare ora impiegato come centro d’accoglienza. Prendendo le targhe e seguendo gli automezzi, per poi passare a intercettazioni telefoniche e ambientali, i militari del Radiomobile e del nucleo operativo hanno ricostruito la rete di caporali che reclutava i rifugiati, approfittando del loro «grave stato di bisogno» -come ha spiegato il comandante provinciale dell’Arma Piercarmine Sica - per sfruttarli come braccianti in aziende agricole nel Livornese o nel Grossetano. L’indagine, nome in codice «Piedi scalzi - racconta Giorgio Poggetti, comandante del nucleo operativo dei carabinieri di Piombino - l’abbiamo chiamata così perché riassume le condizioni di lavoro dei rifugiati». Negli atti dell’inchiesta, spicca infatti una conversazione intercettata in cui uno dei due interlocutori fa trasparire «la preoccupazione per la raccolta di ortaggi nei campi dopo forti piogge» e l’altro, cinicamente, risponde: «I nostri li mandiamo a piedi scalzi, così non c’è il problema che rimangano impantanati con le scarpe».
Per il sindacato Flai Cgil, quest’ennesimo caso «è lo spaccato di un’economia primaria sofferente, nonostante i continui sforzi per riportare la legalità nel settore» e urge uno scatto «nel contrasto preventivo, insediando le sezioni territoriali del lavoro agricolo di qualità».
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