Economia

Lo scontro. Ariston nel mirino di Putin: Mosca dichiara guerra (economica) all'Italia

Cinzia Arena lunedì 29 aprile 2024

La centrale di Ariston Thermo Group a Fabriano (Ancona)

Il governo ha iniziato a muoversi concretamente contro l’esproprio del controllo dell’attività di Ariston in Russia da parte del Cremlino. L'esecutivo ha convocato al ministero degli Esteri l’ambasciatore russo, Alexey Paramonov, per esprimergli il «forte disappunto» per una misura che ha colpito le «legittime attività economiche di imprese straniere». Riccardo Guariglia, segretario generale del ministero, ha esplicitamente espresso «l’auspicio che la Russia possa riconsiderare il provvedimento preso, essendo esso stesso qualificato da parte russa come temporaneo». Paramonov però non ha fatto concessioni: ha risposto che «il deterioramento delle relazioni economiche e commerciali» bilaterali «ricade interamente sulle autorità italiane» e ha ricordato le «azioni ostili intraprese dagli Stati Uniti d’America e dagli altri Stati esteri volte a privare illegalmente la Russia, le sue entità giuridiche e varie persone fisiche del diritto di proprietà e/o a limitare tale diritto su beni situati nel territorio di tali Stati».

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani ha convocato per questo giovedì un “tavolo Russia” che coinvolge anche Confindustria e altre associazioni imprenditoriali. Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, ha parlato con i vertici di Ariston spiegando che il governo intende ottenere dall’Europa «nuovi strumenti» per «tutelare le imprese interessate da atti di ritorsione della Russia».

La scorsa settimana il governo russo ha avviato la nazionalizzazione temporanea delle attività di Ariston che da oltre vent’anni produce scaldabagni in uno stabilimento a pochi chilometri da San Pietroburgo (la Russia fa circa il 3% del fatturato del gruppo). Stessa sorte è toccata a una filiale della tedesca Bosch. La gestione delle due aziende è stata affidata alla società del gruppo statale Gazprom che produce elettrodomestici. Gazprom non è solo il colosso energetico russo, ma anche il potente braccio economico del regime.

L’operazione contro Ariston e Bosch è l’ultimo capitolo di un piano del Cremlino che potenzialmente potrebbe colpire altre realtà floride. La decisione è arrivata senza alcuna informazione preventiva anche se il clima negli ultimi mesi si era fatto pesante. Già nell’aprile di due anni fa il gruppo aveva deciso di sospendere gli investimenti, esclusi quelli legati alla sicurezza sul lavoro. La decisione di restare era stata presa con l’intenzione di tutelare i duecento lavoratori e gli investimenti. Ieri in Borsa il titolo Ariston dopo una giornata negativa, ha chiuso con un -1,1%.

Dall’inizio della guerra in Ucraina la Russia ha posto sotto “gestione temporanea” i beni di una ventina di aziende occidentali giustificando queste mosse come risposte necessarie per le azioni di altri Paesi contro le sue imprese, colpite da sanzioni. L’anno scorso Putin aveva firmato un decreto analogo per il trasferimento temporaneo della gestione delle filiali russe di Danone e di Carlsberg all’agenzia federale per la gestione delle proprietà. Il provvedimento era stato adottato dopo che la società francese e quella danese avevano annunciato l’intenzione di uscire dal mercato russo.

Nonostante la guerra abbia quasi dimezzato il valore dell’interscambio commerciale sono molte le imprese italiane che pur rispettando le sanzioni, sono ancora attive in Russia. Uno studio condotto dall’Università di Yale, che viene aggiornato ogni mese dallo scoppio della guerra, suddivide le 1.586 imprese occidentali attive in Russia in cinque categorie in base al grado di coinvolgimento. Tra quelle italiane che hanno completamente abbandonato il Paese figurano Autogrill, Enel, Eni, Iveco e Generali. Sono invece dodici quelle che mantengono una presenza attiva in Russia. Oltre ad Ariston, ci sono Benetton, De Cecco, Diesel, Fenzi, Boggi, Buzzi Unicem, Calzedonia, Cremonini, Fondital, Perfetti Van Melle e Unicredit. In mezzo tante realtà che hanno adottato una politica di riduzione degli investimenti e delle attività in attesa di tempi migliori: colossi come Barilla, Ferrero, Luxottica e Geox solo per citarne alcuni.