Economia

Amway. Anche in Italia aumenta la voglia d'impresa

giovedì 2 luglio 2015
Il 75% degli intervistati a livello mondiale mostra un atteggiamento positivo verso l’imprenditorialità. Nonostante la crisi, si tratta di una tendenza confermata anche dai dati italiani, che crescono rispetto al 2013: si passa dal 69% dello scorso anno al 75% del 2014. L’attitudine favorevole nei confronti dell’autoimprenditorialità, fra l’altro, cresce di pari passo con la voglia di fare impresa: in Italia il potenziale di imprenditorialità, ovvero coloro che immaginano di poter avviare un’attività in proprio, è del 43% (+2% rispetto al 2013), ben cinque punti sopra la media europea. È quanto emerge dall'indagine presentata da Amway, azienda operante nel settore della vendita diretta.Obiettivo del dibattito promuovere la riflessione sul tema della formazione imprenditoriale in Italia e, nello specifico, il ruolo che imprese private ed enti pubblici quali scuole, Università e Camere di commercio, possono giocare nel preparare i giovani a valorizzare la libera iniziativa, l'autonomia professionale e lo spirito imprenditoriale.Durante l’incontro sono stati discussi i risultati della quinta edizione del Rapporto Globale Amway sull'Imprenditorialità, realizzato in collaborazione con Gfk e l'Università Tecnica di Monaco (Tum), che presenta un'analisi comparata tra 38 Paesi in tutto il mondo."L’indagine che abbiamo presentato - ha dichiarato Fabrizio Suaria, amministratore delegato di Amway Italia - vuole essere uno strumento per misurare la propensione verso l’attività in proprio, oltre che un mezzo per alimentare il confronto su lavoro e imprenditorialità. Come azienda, da sempre promuoviamo la cultura d’impresa svolgendo un’intensa attività di osservazione del mercato e offrendo specifico supporto e formazione continua e gratuita a chiunque desideri intraprendere un percorso professionale come quello offerto da Amway".Da un confronto Oltreoceano, emerge che anche negli Usa, come in Italia, cresce l’atteggiamento favorevole verso il lavoro autonomo (+6% rispetto al 2013), anche se gli Stati Uniti si collocano ben al di sotto della media degli altri Paesi (62%). La propensione ad avviare un’attività in proprio negli Usa si attesta invece su una media del 44%.Nonostante l’Italia continui a essere percepita dalla maggioranza dei suoi cittadini come incapace di mettere in campo azioni politiche in grado di agevolare l’avvio di un’attività in proprio, rispetto al 2013 si registra un cambiamento importante nell’opinione degli italiani: in un solo anno, infatti, sale al 44% la percentuale di italiani che ritiene l’Italia un Paese favorevole all’imprenditorialità (+9% rispetto al 2013).Negli Usa, invece, la percentuale di intervistati che ritiene la società in cui vive favorevole alla libera iniziativa (60%) supera di gran lunga chi la pensa in senso opposto (30%). L’opinione rilevata negli Stati Uniti, tuttavia, non risulta più così isolata rispetto agli altri Paesi: diversi sono gli Stati in cui emerge una forte consapevolezza delle proprie prospettive imprenditoriali. In particolare sono Danimarca (82%), Svezia (73%), Sud Africa (71%), India (70%), Gran Bretagna (68%), Olanda (67%) e Cina (66%) a percepire la propria come una realtà fortemente avviata alla libera iniziativa.Dando uno sguardo alle nuove generazioni, il dinamismo imprenditoriale è fortemente diffuso tra gli under 35: ben l’83% dei giovani italiani si conferma favorevole nei confronti del lavoro autonomo (media globale: 80%) mentre il 58% si vede persino in grado di iniziare un’attività in proprio (media globale: 51%). In Europa le medie più alte si trovano in Svezia (96%) e Danimarca (95%), mentre nel resto del mondo spicca il Brasile, con il 94% di giovani ottimisti sul tema. A livello europeo, la media più bassa è invece quella della Germania con solo il 59%.Tra le leve motivazionali che spingono all’autoimprenditorialità, spicca il desiderio di “indipendenza da un datore di lavoro”, che porta la maggioranza della popolazione mondiale (46%), europea (49%) e italiana (43%) a intraprendere un’attività in proprio. L’autorealizzazione rappresenta la seconda motivazione a livello mondiale (43%), europeo (42%) e nazionale (39%), mentre risulta prioritaria per i cittadini americani (60%).Fra i temi portanti della ricerca Amway di quest’anno, in particolare, vi è quello della formazione e del suo ruolo all’interno di un percorso imprenditoriale. Per il 64% degli italiani l’imprenditorialità si può insegnare (media globale: 63%); della stessa opinione sono anche gli under 35 con il 70% di risposte affermative (media globale: 70%).Da evidenziare quali siano gli elementi più importanti che dovrebbero, secondo gli italiani, caratterizzare un percorso formativo adeguato in tal senso: per il campione italiano è proprio l’esperienza 'sul campo' il fattore determinante. Il 33% degli italiani, infatti, afferma che l’accesso a simulazioni ed esperienze concrete di lavoro imprenditoriale è il fattore educativo chiave per poter imparare a fare impresa. Per gli italiani, al secondo e terzo posto si trovano poi le competenze di business di base, come contabilità, informatica e amministrazione (32%), e i programmi di mentoring, ovvero la possibilità di imparare a fare impresa potendo essere affiancati nel proprio percorso da imprenditori e professionisti di maggiore esperienza.Di tutt’altra opinione, da questo punto di vista, gli americani, secondo i quali sono le competenze manageriali e la capacità di leadership gli elementi chiave del successo che possono essere trasmessi tramite la formazione (47% Usa; 22% Italia). Secondo il 35% degli italiani sono le Camere di commercio e le organizzazioni no profit, attraverso specifici programmi di formazione e programmi di start-up, il contesto ottimale dove andrebbe insegnata l’imprenditorialità. Completamente diverso anche in questo caso il parere dei cittadini statunitensi: secondo gli intervistati, infatti, il fare impresa si insegna, anzitutto, a scuola (46% Usa; 29% Italia) e in università (48% Usa; 25% Italia). Un dato particolarmente allarmante riguarda infine l’offerta formativa in Italia, ritenuta non sufficiente dal 64% degli intervistati rispetto a una media globale del 43% e statunitense del solo 31%.