Il caso Amazon. Addetti “eterodiretti” dall'app: il governo può agire
«La condotta di Amazon Italia Transport (…) ha comportato non solo il sistematico sfruttamento dei lavoratori ma anche ingentissimi danni all’erario», dice la Procura di Milano nel provvedimento con cui sequestra al gruppo internazionale 121 milioni di euro. Dunque anche Amazon – come gli altri colossi della logistica e perfino della Grande distribuzione organizzata – avrebbe frodato il fisco, secondo i pm Paolo Storari e Valentina Mondovì (la società invece rivendica la sua correttezza). Il metodo è quello ormai divenuto un “classico”, quasi la norma per grandi e medie imprese: l’esternalizzazione di parti della lavorazione o della consegna dei prodotti, appaltate a false cooperative o società filtro. Queste ultime fungono da “serbatoi di manodopera”: permettono cioè al committente di non assumere direttamente i lavoratori e così risparmiare sul costo del lavoro e sugli altri obblighi normativi. Non solo, queste cooperative o società schermo svolgono un ulteriore “lavoro sporco”: quello di emettere fatture gonfiate e omettere il versamento dell’Iva dovuta, “sparendo” in breve tempo dai radar dell’amministrazione pubblica. Alla (grande) società committente si assicura così un illecito taglio dei costi e un altrettanto illecito risparmio di natura fiscale. Gli utili societari si gonfiano e la ricchezza si accumula nelle mani di pochi azionisti. A danno di chi? Di noi contribuenti certamente, ma quel che più interessa in questa analisi, soprattutto dei lavoratori. Sfruttati con la richiesta di prestazioni sempre più veloci, con orari di lavoro che si prolungano per assicurare tutte le consegne richieste, a fronte però di paghe assai ridotte, tanto da far parlare di “caporalato digitale”.
È interessante notare, infatti, come ancora una volta sia un algoritmo a “farla da padrone”. Nel vero senso della parola: è infatti la app fornita da Amazon a stabilire il piano dei recapiti dei pacchi, a dettare ai fattorini i tempi – massimo 3 minuti – per la consegna, a indicare le strade da percorrere, a fissare gli obiettivi e soprattutto misurare le performance, con penalità per quelle negative. Una letterale “eterodirezione” da parte di Amazon, con buona pace del rapporto autonomo che i corrieri dovrebbero avere, essendo dipendenti delle cooperative o addirittura “in proprio”. E qui si aggiunge un ulteriore fattore di sfruttamento dei lavoratori: quello di invitarli ad assumersi anche il rischio imprenditoriale, pur prestando la loro opera di fatto come dipendenti. Amazon, con il programma DSP, proponeva infatti ai corrieri di investire dai 10 ai 25mila euro nell’acquisto di mezzi per la consegna dei pacchi, salvo poi appunto “eterodirigerli”. Esattamente la trama di “Sorry we missed you”, il film di Ken Loach nel quale si descrive il dramma di un corriere che si illude di “svoltare” mettendosi in proprio, ma poi finisce a lavorare 14 ore al giorno, sei giorni su sette, con pause ridottissime, schiavo di un software che mette a rischio anche i suoi rapporti familiari.
Ora, proprio l’assoggettamento del lavoratore al potere del datore di lavoro di impartire continue e dettagliate istruzioni per l’esecuzione dell’attività lavorativa è il criterio base per determinare che un rapporto è di tipo subordinato, dipendente, secondo il nostro diritto. Un concetto ribadito pure nella Direttiva europea sul lavoro tramite piattaforme digitali – approvata ad aprile – che introduce ulteriori garanzie per i lavoratori. Esistono già, dunque, gli strumenti per sanzionare i comportamenti scorretti. Ma il diritto europeo mette oggi a disposizione anche nuovi poteri che possono permettere di agire in via preventiva o comunque più veloce. Gli Stati membri hanno a disposizione due anni per recepire le direttive comunitarie. Il Governo, però, dovrebbe avere tutto l’interesse ad accelerare questi tempi, legiferando subito sulla materia: per scongiurare lo sfruttamento dei lavoratori e avere più risorse fiscali a disposizione. Un guadagno per tutti, la tutela del lavoro.