Innovazione. Così Apple Pay accende la partita dei pagamenti via smartphone
Una dimostrazione del funzionamento di Apple Pay
Adesso la partita per la conquista di quello che una volta era il borsellino degli italiani si fa dura davvero. Il debutto di Apple Pay, il servizio di pagamenti tramite l’iPhone da ieri disponibile anche in Italia, è stato accolto come una specie di rivoluzione, con banche e negozianti che sono corsi ad annunciare di essere coinvolti nel progetto del gigante americano. È l’effetto iPhone: quello di Apple non è stato il primo smartphone, ma ha avuto un successo mondiale così clamoroso che ogni nuovo lancio dell’azienda di Cupertino viene trattato come il possibile inizio di una nuova era (anche quando, come nel caso dell’orologio Apple Watch, le vendite sono quanto meno modeste).
Gli alleati di Apple
La straordinaria forza che ha Apple nel convincere clienti estremamente fidelizzati a sposare le sue innovazioni può però davvero accendere la miccia per l’esplosione dei pagamenti via smartphone nel nostro paese. Il sistema ideato da Apple è piuttosto semplice, perché si basa sul “vecchio mondo” dei pagamenti: appoggiandosi alla carta di credito delle banche coinvolte (si parte da UniCredit, Carrefour Banca e Boon, presto arriveranno CartaBcc, Mediolanum, Fineco, Widiba, American Express e altri) l’app permette di pagare alla cassa connettendosi attraverso il protocollo Nfc ai tradizionali Pos dei bancomat, senza spese aggiuntive per chi spende e per chi incassa. Apple si finanzia prendendo una quota delle commissioni che tradizionalmente gli esercenti pagano alle società delle carte di credito, che in cambio di questo sacrificio sono in questo modo “protette” dal pericolosissimo rischio di restare tagliate fuori dall’innovazione in corso.
La battaglia per il borsellino digitale
Il rischio è grosso prima di tutto perché la competizione è accesa. Oltre a Apple infatti puntano forte sui pagamenti digitali anche Google, che deve ancora lanciare in Italia il suo Android Pay già disponibile in una dozzina di paesi, e Samsung, che prevede di portare entro fine anno anche nel nostro Paese il suo Samsung Pay. Senza considerare che offrono già piattaforme di pagamento, che però non passano dai telefonini, nomi come Amazon (che lo scorso mese ha portato in Italia il suo Amazon Pay) o Facebook. Il potenziale del pagamento via smartphone è enorme. Secondo le stime dell’Osservatorio Mobile Payment del Politecnico di Milano i pagamenti tramite smartphone nel 2016 hanno raggiunto gli 800 milioni di euro, con un +75% rispetto al 2015, ma nel girò di tre anni si arriverà a una cifra compresa tra gli 1,2 e gli 1,6 miliardi di euro. Una stima a livello mondiale realizzata a inizio anno da Allied Market Research prevede una crescita media di questa soluzione di pagamento nell’ordine del 33% all’anno dal 2016 al 2022, per arrivare a poco meno di 3.400 miliardi di dollari di pagamenti online fra cinque anni.
Le alternative made in Italy
Ottime notizie per le tante iniziative italiane nate in questo ambito con una proposta spesso anche più innovativa di quella dei giganti stranieri. Già nel 2015 hanno debuttato Jiffy e Satispay, che sono due della realtà più in crescita in questo settore. La prima è realizzata da Sia, gruppo italiano tra i leader mondiali nelle infrastrutture e sistemi di pagamento tra banche: attualmente sono 23 le banche che hanno aderito al servizio, altre due sono in arrivo. Oggi Jiffy è utilizzato per scambiarsi denaro e fare pagamenti da 4,2 milioni di utenti (il che ne fa il terzo servizio del genere nella zona euro, dopo lo svedese Swish e il britannico Paym) e potenzialmente, una volta attivati tutti gli istituti di credito, sarà disponibile per l’80% dei conti bancari italiani. Procede al ritmo di 70 nuovi iscritti al giorno, e al momento è stata scaricata da 200mila utenti, la startup Satispay, creatura del 33enne cuneese Alberto Damasso che si basa anch’essa sui bonifici bancari così da non passare dalla carte di credito. In un sorprendente giro di finanziamenti di fine aprile è riuscita a raccogliere oltre 14 milioni di euro da investitori internazionali. Nel 2016 è invece partita Tinaba, iniziativa di Matteo Arpe, ex enfant prodige de credito in Italia oggi alla guida del gruppo Sator, che ha la sua forza nell’essere collegata direttamente a un conto bancario, caratteristica che gli permette nello stesso tempo di offrire servizi di finanziamento e di investimento o di organizzazione di raccolte fondi combinando il tutto con un sistema di pagamenti completamente gratuito, anche per gli esercenti.