Altro che bamboccioni e choosy (schizzinosi). I giovani laureati italiani hanno le idee molto chiare e sono pronti a mettersi in gioco per costruirsi un futuro professionale. In mezzo a tanti numeri decisamente negativi (uno per tutti: il 21% di laureati della fascia di popolazione tra i 25 e i 34 anni, contro una media Ocse del 39%, che ci pone in fondo alle classifiche internazionali insieme alla Turchia), il Rapporto 2014 sui laureati italiani del Consorzio Almalaurea getta una luce diversa sulle nuove generazioni. Sfatando anche il mito della flessibilità lavorativa.Secondo i 230mila laureati del 2013 delle 64 università aderenti al Consorzio, la prima qualità che deve avere il lavoro è la stabilità, caratteristica preferita dal 66% degli intervistati, che mettono al secondo posto la possibilità di fare carriera (61%) e al terzo il guadagno (55%). A conferma che, soprattutto negli anni della crisi, i laureati hanno attribuito un valore via via crescente alla stabilità del posto di lavoro, c’è l’incremento del 9,5% di risposte positive rispetto al 2004. Di pari passo, i laureati cercano nel lavoro una possibilità di autonomia (+4,4% nel decennio) e un’opportunità di carriera (+3,1%). Se non trovano un’occupazione con queste caratteristiche, non si accontentano ma vanno a cercare nuove opportunità all’estero, ambito che, rileva Almaluarea, attira «un numero crescente di giovani neolaureati». La disponibilità a espatriare è dichiarata dal 48% dei laureati (+14% rispetto al 2004), con punte del 50% fra i laureati di primo livello in materie linguistiche, in ingegneria e in architettura. Un chiaro segnale al Paese, secondo il Rapporto, che termina lanciando una sfida alle istituzioni: «Se l’Italia non investe di più in istruzione superiore e ricerca rischia concretamente di non avere futuro». È qui, allora, che si gioca la partita decisiva, perché già oggi, complice la crisi, solo 3 diciannovenni su 10 si iscrivono all’università. Eppure, avverte il direttore di Almalaurea, Andrea Cammelli, «la laurea tutela il giovane sul mercato del lavoro più di quanto non lo faccia il solo diploma». Decisivo, da questo punto di vista, è il raccordo tra sistema universitario e mondo del lavoro, realizzato attraverso il sistema dei tirocini, che si sono triplicati a seguito della riforma dell’università. Nel 2013, il 61% dei laureati di primo livello ha alternato studio ed esperienze lavorative in azienda e lo stesso ha fatto il 41% dei laureati magistrali a ciclo unico e il 56% dei laureati magistrali biennali. Prima della riforma del 2004, il tirocinio era effettuato da circa il 20% degli studenti universitari. «È un’esperienza importante – conferma Cammelli – che consente, spesso per la prima volta, di avvicinare gli studenti al mercato del lavoro e fa aumentare del 14% la possibilità di trovare un’occupazione entro un anno dalla laurea».