ASviS. Giovannini: «Ora una legge sul clima. Ancora troppi divari su lavoro e salute»
«L’Italia deve mostrarsi all’altezza delle grandi questioni globali e fare la sua parte per l’Agenda 2030. Pandemia e guerre hanno rallentato il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, ora occorre accelerare. L’assemblea generale dell’Onu di quest’anno pone anche le basi per il “Summit sul futuro” che l’Onu organizzerà a settembre 2024, con i Paesi in via di sviluppo che puntano a contare di più, come abbiamo visto anche con l’allargamento dei Brics, mentre si chiede una revisione della governance di Banca mondiale e Fmi. Il prossimo anno l’Italia sarà a capo del G7: chiederemo un dibattito in Parlamento per chiarire le nostre posizioni». Così Enrico Giovannini, già ministro nei governi Letta e Draghi e cofondatore e direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), una rete di oltre 300 soggetti della società civile. Da New York, dove ha seguito da vicino i lavori dell’Assemblea generale dell’Onu, Giovannini fa il punto anche sul percorso italiano verso l’Agenda 2030.
Enrico Giovannini - Fotogramma
Professore, il ritardo che abbiamo accumulato è recuperabile?
Solo sull’economia circolare si sono fatti passi in avanti. Su disuguaglianze, povertà, istruzione, salute, il percorso compiuto è decisamente insufficiente, anche a causa della pandemia. Sul fronte ambientale abbiamo peggioramenti nella condizione degli ecosistemi marini, mentre il consumo del suolo non si arresta. Ci sono progressi sull’occupazione, ma sappiamo che salari e stipendi sono bassissimi e aumentano le disuguaglianze, anche quelle di genere. Nella sanità abbiamo limiti di personale infermieristico e medico, oltre che una situazione molto variabile sui territori. Se sugli investimenti in conto capitale il Pnrr dovrebbe farci fare passi in avanti da qui al 2026, serve lungimiranza per la parte corrente su questi temi, ma non mi sembra ci sia una sufficiente attenzione nel dibattito attuale.
L’ASviS invoca il varo di una legge nazionale sul clima…
Una legge sul clima fisserebbe due elementi cruciali: in primo luogo darebbe una forte autorevolezza alla comunità scientifica, con la creazione di un consiglio scientifico che possa fornire pareri autorevoli sulle politiche attuali e future e che funzioni al di là delle maggioranze di governo; il secondo elemento è quello stabilire degli obiettivi, perché la decarbonizzazione e la riduzione delle emissioni si fanno con atti concreti. Decarbonizzare richiede di lavorare settore per settore lungo le filiere, mettendo insieme scienziati e società civile: ci vuole metodo.
E poi ci sono i Piani nazionali…
Il Piano nazionale integrato energia-clima (Pniec) deve diventare legge entro un anno, mentre per il Piano nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) è finita anche la fase di valutazione ambientale e strategica: ne attendiamo quindi l’approvazione ma al momento non c’è un euro per la sua attuazione. È vero che ci sono altri fondi che possono andare in quella direzione, ma non abbiamo visto al momento alcuna proposta. Gli eventi climatici estremi cresceranno, se noi sottolineiamo l’importanza della governance non è per tirare la palla in tribuna, ma perché se non c’è coerenza delle politiche si rischia di smontare con una mano quello che si fa con l’altra.
Come valuta invece la nuova strategia nazionale di sviluppo sostenibile approvata lunedì?
È un grosso passo in avanti rispetto al 2017, è stata preparata con il concorso di tutti i ministeri con obiettivi concreti ed è già passata per la conferenza Stato-regioni. C’è anche un capitolo molto importante sull’educazione allo sviluppo sostenibile e strumenti per coordinare meglio l’agenda con le politiche. Il tema però è: al momento della preparazione della legge di bilancio, questa logica della valutazione ex ante delle politiche verrà veramente realizzata?
A livello internazionale, su cosa possiamo fare di più? L’Italia stanzia ancora soltanto lo 0,30% del reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo a fronte di un impegno dello 0,7%. Gran parte di quei fondi, peraltro, sono stati utilizzati per l’assistenza ai migranti e per gli aiuti all’Ucraina. Nell’anno in cui l’Italia presiede il G7 uno sforzo ulteriore su questo fronte va fatto per essere davvero credibili.