A UN PASSO DAL FALLIMENTO. Alitalia, il Cda approva l'aumento di capitale
Il Consiglio di amministrazione di Alitalia ha deliberato un aumento di capitale con il voto favorevole di tutti i soci, compresa Air France-Klm, ha riferito un consigliere. "Il Cda ha approvato l'aumento di capitale secondo il piano", ha detto Maurizio Traglio senza ulteriori dettagli. Alla domanda se l'operazione sia stata varata con il voto favorevole di Air France-Klm, Traglio ha risposto: "Di tutti".La manovra finanziaria per il salvataggio di Alitalia ammonta complessivamente a 500 milioni di euro, secondo il consigliere della compagnia aerea Antonio Orsero. Uscendo dalla sede di Alitalia al termine del Cda di oggi, Orsero ha anche detto che di una modifica del piano industriale si parlerà più in là. "La manovra complessiva sarà da 500 milioni", ha detto Orsero. A chi gli chiedeva se il Cda avesse discusso della richiesta del governo di discontinuità nella gestione aziendale e della di modifica al piano industriale, il consigliere ha risposto che "di piano industriale se ne parlerà più avanti, dopo".Mentre all'assemblea dei soci Alitalia, convocata per lunedì 14 ottobre alle 17 a Roma, ci sarà anche il custode e amministratore dei beni sequestrati a Riva Fire, la holding che controlla Ilva spa, il commercialista Mario Tagarelli. È la conseguenza del fatto che Riva Fire è il maggiore azionista di Alitalia con il 10,6%, pari a poco meno di 100 milioni di euro. Le quote di Riva Fire in Alitalia rientrano tra i beni sequestrati nelle scorse settimane dalla Guardia di Finanza sulla base di un provvedimento del gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco. Il magistrato ha disposto il sequestro preventivo per equivalente, sino alla concorrenza di 8,1 miliardi di euro, dei beni del gruppo Riva e delle società controllate, esclusi quelli strettamente indispensabili all'attività produttiva degli stabilimenti. Somma di denaro che, secondo gli inquirenti, il gruppo Riva ha risparmiato dal 1995, anno di acquisto della vecchia Italsider, a oggi non adeguando gli impianti alle norme ambientali. PIOVONO CRITICHE SUL SALVATAGGIOPiovono critiche sull'imbarco di Poste Italiane in Alitalia nel tentativo di tenere in volo la disastrata compagnia di bandiera. Il ministro delle infrastrutture, Maurizio Lupi, si è affrettato a precisare che per Alitalia, Poste Italiane non è "un aiuto da parte del pubblico ma l'individuazione di un'azienda sana come partner industriale in un settore che è sempre di più complementare". Ma chi contesta l'operazione denuncia che sarà ancora una volta il contribuente a dover sostenere i costi del nuovo salvataggio dell'azienda, essendo le Poste controllate al 100% dal Tesoro e quindi dallo Stato. "Il coinvolgimento delle Poste mi sconcerta, non capisco che cosa c'entrino. Mi sembra una soluzione temporanea solo perché le Poste hanno i soldi", ha affermato il leader della Lega e governatore della Lombardia Roberto Maroni.
Per Benedetto Della Vedova, senatore e portavoce politico di Scelta Civica, "la vicenda Alitalia è la cronaca di un fallimento annunciato, innescato da un demagogico e astratto patriottismo economico che ha portato nel 2008 il Governo Berlusconi alla scelta di scaricare sul contribuente la ristrutturazione dell'azienda" e oggi "il coinvolgimento di Poste appare una ulteriore soluzione pasticciata". Quindi chiede che "se il governo decide di farsi ulteriormente carico di Alitalia, deve spiegare perché intenda farlo, cioè per qualeinteresse dei contribuenti".Dura la reazione dell'Osservatorio nazionale sulle liberalizzazioni dei trasporti (Onlit). "È sbagliato che siaancora la mano pubblica a soccorrere, questa volta con 75 milioni di risparmio postale, una compagnia che ha trasportato nel 2012 24,3 milioni di passeggeri su un totale di 146,8 milioni transitati in Italia", ha detto il presidente Dario Balotta, spiegando che "le numerose ricapitalizzazioni e la privatizzazione con il decreto salva-Alitalia, l'aiuto alla compagnia con sette anni di cassa integrazione per 6milaaddetti, con un trattamento economico quadruplo rispetto agli altri lavoratori in Cig, è stato iniquo e di proporzioni economiche gigantesche, anticoncorrenziale e fallimentare".E dubbi sull'intervento statale vengono espresse anche dal leader degli industriali Giorgio Squinzi. "Sono sempre molto perplesso di fronte agli interventi della mano pubblica in una società privata. Certo, se è un cerotto per tamponare una situazione di emergenza, passi; però bisognerà una volta per tutte fare una riflessione seria per avere un piano di medio-lungo termine", ha detto il presidente di Confindustria, aggiungendo che "forse l'Italia è diventata un Paese troppo piccolo per permettersi una grande compagnia di bandiera, bisognerà fare una riflessione forte da questo punto di vista".POSTE VOLA IN SOCCORSOLa nuova Alitalia, come la vecchia, sarà salvata dallo Stato. La riunione del consiglio di amministrazione della disastrata compagnia di bandiera è stata rinviato da ieri a oggi. Fino a tarda sera i manager hanno lavorato con il governo e le banche per definire i dettagli dell’atterraggio finanziario di emergenza che eviterà lo schianto contabile di un’azienda che ha in cassa ancora poche decine di milioni di euro.
Invocato anche ieri dai sindacati (in una nota unitaria Cgil, Cisl e Uil hanno scritto che è «indispensabile e improcrastinabile che lo Stato italiano, attraverso le finanziarie di cui dispone, intervenga») il salvataggio con soldi pubblici – secondo le dettagliate indiscrezioni emerse ieri – è arrivato all’ultimo momento. Le Poste Italiane (società controllata interamente dal ministero dell’Economia) parteciperanno all’aumento di capitale del vettore attraverso un intervento da 75 milioni di euro. Dopo avere tentato invano di salvare Alitalia usando altre entità statali (la Cassa depositi e prestiti, il Fondo strategico italiano, la finanziaria Fintecna, le Ferrovie) mercoledì il governo ha convocato Massimo Sarmi, amministratore delegato delle Poste che decenni fa lavorava all’Aeronautica militare, e lo ha convinto a dare una mano. «Ce l’abbiamo fatta» ha esultato Maurizio Lupi, ministro dei Trasporti. In una nota il governo esprime «soddisfazione» e parla di «sinergie» tra le due aziende, quindi avverte: «Alitalia è un un asset strategico per il Paese, ma non senza condizioni: sono necessarie una profonda revisione del Piano industriale e l’adozione nei tempi più rapidi del nuovo Piano da parte dei nuovi organi societari». Dopodiché, fa capire l’esecutivo, potrebbe arrivare un altro supporto di Stato per «accompagnare» il rinnovamento.
L’aumento di capitale complessivo sarà di 225 milioni: ai 75 milioni delle Poste (che avrebbero il 10-15%) si aggiungeranno i 75 milioni di Air France-Klm e altri 75 milioni dei soci italiani (o delle banche del consorzio di garanzia). A questa cifra si sommeranno altri soldi pubblici, con la garanzia di Stato su 75 milioni di euro di debiti di Alitalia. Le banche completeranno il piano, garantendo linee di credito per 200 milioni. Tra nuovi capitali, garanzie di Stato e credito si arriva così ai 500 milioni chiesti dall’amministratore delegato Gabriele Del Torchio per dare qualche mese di vita alla compagnia. L’alternativa all’aumento era la chiusura: senza soldi freschi, aveva avvertito ieri Vito Riggio – ex politico Dc da un decennio alla guida dell’Ente di aviazione civile – «sabato Alitalia rimarrà a terra». Sarebbe rimasta a terra perché non avrebbe più potuto fare il pieno agli aerei, dato che l’Eni aveva fatto capire di non essere disposta a venderle il carburante senza la sicurezza di essere pagata.
Il piano di salvataggio non è risolutivo. Serve più che altro a evitare la chiusura e rendere Alitalia più digeribile per Air France-Klm, che nei prossimi mesi probabilmente prenderà la maggioranza e disegnerà quel piano industriale chiesto dal governo. Cinque anni fa i francesi si arresero davanti all’opposizione dei sindacati, che trattavano da una posizione forte perché vedevano all’orizzonte la cordata italiana promessa dal PdL in campagna elettorale. Adesso che la cordata è a pezzi, Parigi non incontrerà molte resistenze. Sarà il finale amaro di una brutta storia imprenditoriale. In quattro anni e mezzo di vita la nuova Alitalia ha perso più di un miliardo e ha accumulato debiti per un altro miliardo. Non ha trovato un piano industriale efficace ma si è data da fare invano per fermare la concorrenza: ha tentato di conservare il monopolio sulla Roma-Milano ma è stata sconfitta da easyJet, ha provato a impedire a Emirates di offrire voli tra Milano e New York e non ci è riuscita, ha lasciato fallire in maniera disordinata le trattative per l’acquisto della siciliana WindJet, i cui aerei sono rimasti improvvisamente a terra nell’estate del 2012.
E ora le serve un salvataggio di Stato. Quello della vecchia Alitalia, che risale al 2008, non è ancora completato: in virtù di quei patti ci sono circa 3mila dipendenti del vecchio vettore in cassa integrazione straordinaria. Prendono ogni mese dall’Inps l’80% del loro ultimo stipendio. Durerà fino al 2015, ma il governo a giugno ha confermato che il trattamento di favore potrebbe essere prolungato fino al 2018. Pietro Saccò