Economia

RIFORME. Al via il pacchetto-lavoro Polemiche sull’articolo 18

Nicola Pini giovedì 4 marzo 2010
Via libero definitivo ieri al Senato al disegno di legge delega sul lavoro, un provvedimento che ha riaperto le polemiche sull’articolo 18. Secondo l’opposizione infatti, le nuove norme permetterebbero di aggirare le tutele previste dalla Statuto dei lavoratori mentre il ministro Maurizio Sacconi assicura che quell’articolo  «non è stato minimamente toccato».La legge, che ha avuto l’ok dopo quasi due anni di letture fra Camera e Senato introduce diverse importanti novità. In pillole: l’apprendistato a 15 anni, che ora potrà valere come un ultimo effettivo anno di scuola dell’obbligo; la pensione di anzianità scatterà tre anni prima (57 anni e 35 di contributi) per chi fa lavori usuranti, mentre l’uscita dal lavoro sarà elevabile fino ai 70 anni (con 40 di contributi) per i dirigenti medici del Sistema sanitario nazionale. Il provvedimento allunga poi i tempi (24 mesi dall’entrata in vigore della legge) per la riforma degli ammortizzatori sociali.Il punto che ha scatenato le polemiche riguarda le controversie sul lavoro, licenziamento compreso. La legge permette infatti di inserire clausole, con le quali le parti acconsentono di ricorrere a un arbitrato per decidere sulle controversie, anche nei contratti di lavoro se lo prevedono accordi interconfederali. Le parti hanno un anno di tempo per trovare un accordo, ma se non ci riescono, il governo può provvedere per decreto. È possibile però che anche in base ad un accordo tra singolo lavoratore e datore di lavoro si stabilisca di ricorrere all’arbitrato in caso di future controversie. Il timore dei sindacati è che pur di farsi assumere il lavoratore accetti la via dell’arbitrato, una scelta però che in futuro potrebbe garantirlo meno rispetto all’articolo 18, che tutela per via giudiziale chi è licenziato senza giusta causa, con la possibilità di ottenere il reintegro.A otto anni dal braccio di ferro sulla riforma che oppose il governo Berlusconi e la Cgil, ieri è stata proprio la confederazione guidata da Guglielmo Epifani a scendere in campo duramente: «Siamo di fronte ad una vera e propria controriforma delle basi del diritto del lavoro italiano», ha detto il segretario, profilando la possibilità di presentare ricorso sulla legittimità costituzionale del provvedimento. Parole dure a cui il governo ha risposto con il ministro Sacconi, parlando di «polemica dei soli noti su un testo di legge alla quarta lettura in Parlamento, ennesima prova della malafede di chi vuole sempre accendere tensioni sociali». Per il ministro, «il lavoratore in realtà avrà una possibilità in più, ricorrere all’arbitrato, e tutto sarà regolato dai contratti collettivi». Più prudenti Cisl e Uil, secondo le quali il Parlamento non dovrebbe sostituirsi alle parti sociali in materia di lavoro. «Su questi temi sono le parti sociali a doversi confrontare, il resto sono solo palloni che si gonfiano mediaticamente», ha detto Raffaele Bonanni. Durante la discussione al Senato Sacconi ha affermato che «il testo è il frutto di un intenso lavoro parlamentare e ha un origine: l’autore fu Marco Biagi», ricordando il giuslavorista ucciso il 19 marzo del 2002 dalle Br. La legge Biagi in effetti fin dalla sua prima stesura conteneva la proposta di introdurre l’arbitrato nelle controversie di lavoro. Il riferimento alla vittima delle Br non è piaciuto però all’opposizione che con l’ex ministro Tiziano Treu (tra i firmatari di un appello contro la legge che farebbe «diventare un optional l’articolo 18») e il senatore Pietro Ichino hanno respinto l’accostamento al nome di Biagi.