Sanità. Perché al Sud è migliore il rapporto tra Pil e salute
La solidità economica da sola non è garanzia di felicità. Quando il reddito cresce oltre una certa soglia – si calcola pari a 15mila dollari annui – la correlazione positiva tra Pil e felicità, tende a svanire: è il paradosso di Easterlin, dal nome dell’economista che ha contribuito ad aprire un nuovo ambito di indagine che si occupa di studiare le determinanti del benessere integrale delle persone. Incentrato sull’economia della felicità Il rapporto sul BenVivere delle province italiane 2023 analizza, nel dettaglio, 77 indicatori elementari che spaziano dalla demografia alla cultura, dall’accoglienza all’ambiente, dalla salute alla legalità per offrire una mappa dello stato di salute economico e generativo dell’Italia.
Osservando i dati, gli indicatori di salute per unità di Pil sono migliori al Sud, perché? Lo abbiamo chiesto al professor Leonardo Becchetti, economista, direttore del festival dell’economia civile e tra gli autori del rapporto sul Ben-Vivere che viene presentato a Firenze al festival dell’Economia civile che si apre giovedì 28 settembre. «La capacità del nostro sistema sanitario nazionale, di fatto, riduce l'impatto delle diseguaglianze di reddito, anche se questo comporta dei costi per le persone che dal Sud si vanno a curare al Nord», dalle notti fuori Regione agli spostamenti stessi per raggiungere gli ospedali di Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia.
Facendo un passo indietro, la mobilità ospedaliera è soprattutto determinata dalla diversa capacità dei sistemi sanitari regionali di rispondere ai bisogni dei cittadini residenti, e solo in parte è dovuta a scelte di preferenza operate dai cittadini per vicinanza geografica delle strutture al luogo di dimora abituale, anche se diverso dalle regione di residenza; si pensi ad esempio alle cure per gli studenti fuori sede.
Stando agli ultimi dati Istat, contenuti nel Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes), le migrazioni ospedaliere, che nel 2020 avevano subito un calo, in parte legato all’impossibilità di spostarsi fuori della propria zona di residenza determinata dalla situazione pandemica, nel 2021 hanno fatto registrare di nuovo un aumento. Nello specifico nel 2021 le dimissioni ospedaliere in regime ordinario per acuti effettuate in regioni diverse da quella di residenza sono state il 7,8%, dato in aumento rispetto al 2020 (7,3%), ma più basso rispetto al valore pre-pandemico (nel 2019 era pari a 8,3%).
Nonostante queste variazioni, la geografia rimane invariata, e riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese, con ricoveri fuori regione più frequenti al Sud. Tra il 2020 e il 2021 la ripresa delle migrazioni ospedaliere è stata più consistente, circa 2 punti percentuali, in Calabria, Basilicata, Molise, Liguria e Valle d’Aosta. Tra queste, nelle regioni più piccole, il fenomeno è da sempre intenso, anche per la vicinanza di strutture ospedaliere fuori regione: Molise 29,2%, Basilicata 26,9% e Valle d’Aosta 15,4%. In Calabria, invece, la percentuale è pari a 20,8% a causa di una carenza infrastrutturale, essendo la regione con la minore dotazione di posti letto: 2,15 per 1.000 abitanti contro 2,55 della media nazionale nel 2020.
Tornando ai dati del rapporto Ben-Vivere edizione 2023 come sottolineato dal professor Becchetti la diseguaglianza di PIL molto forte fra le province non si traduce in una proporzionale diseguaglianza nei servizi sanitari, né in termini di prestazioni, né in termini di risultato. Il sistema sanitario nazionale, pur con tutti i limiti, garantisce anche le province meno ricche, in misura più che proporzionale rispetto alla loro effettiva capacità economica. In presenza di un sistema sanitario nazionale che garantisce la sostenibilità delle migrazioni sanitarie e in attesa che la qualità del Nord sia accessibile anche al Sud, non è necessario un livello proporzionale di PIL per avere più anni di aspettativa di vita. Anche perché la qualità della salute dipende da una molteplicità di fattori, fra i quali livelli di stress (benessere psicologico) e di inquinamento, che notoriamente sono più bassi al Sud.
Un’ultima considerazione va fatta sul processo di autonomia differenziata, laddove «un’accelerazione potrebbe mettere definitivamente in crisi un sistema già fragile e con forte diseguaglianza in termini di accessibilità alle cure necessarie, facendo venire meno i principi costituzionale di garanzia dei diritti inviolabile dell’uomo e di adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (articolo 2 della Costituzione, ndr) - come rimarcato dall’economista Becchetti -, così come il compito della Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (articolo 3, ndr)».
In altre parole, la qualità del Servizio sanitario nazionale che dipende dalle risorse economiche che vengono maggiormente create al Nord garantisce il diritto alla cura anche per il Sud: non per spirito di altruismo, ma per spirito costituzionale, fondamento del nostro vivere civile.