Terza età. Case condivise per gli anziani: i progetti ci sono, le leggi non ancora
Vivere mantenendo la propria autonomia. È questa la sfida possibile, anzi necessaria in un Paese che invecchia rapidamente, del co-housing per anziani. Una realtà già normata in diversi Paesi, tra i quali Danimarca, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti, che anche in Italia è sotto la lente d’ingrandimento del legislatore. Si tratta di una delle misure inserite, per il momento ancora in fase di definizione, nel decreto anziani in discussione al Senato che ha come obiettivo quello di «promuovere la dignità dell’autonomia, dell’inclusione sociale, dell’invecchiamento attivo e della prevenzione della fragilità, anche con riferimento alla condizione di disabilità». A partire proprio dalla casa. In Italia i primi tentativi sperimentali sono già realtà. Come le cinque strutture realizzate dall’amministrazione comunale di Roma: ospitano sino a sei persone ciascuna con servizi socio-assistenziali e il supporto diurno di operatori. Una goccia nel mare che potrebbe però diventare un modello per altre amministrazioni.
Il decreto anziani ipotizza due tipologie di coabitazione: il senior co-housing e il co-housing intergenerazionale, che prevede la convivenza tra anziani e giovani in condizioni svantaggiate. Le linee guida volte a definire i contenuti essenziali di queste forme di coabitazione da realizzare attraverso la rigenerazione urbana e il riuso del patrimonio immobiliare esistente saranno definite nei prossimi tre mesi. Il Consiglio nazionale del notariato, che già ad ottobre durante il suo congresso nazionale aveva avviato una riflessione sul ruolo dei notai nella tutela del patrimonio abitativo delle persone fragili, in una recente audizione in Commissione Affari sociali al Senato, ha dato la disponibilità della categoria al legislatore. Rendendosi disponibile a costruire «un modello più ampio possibile di tutela per tutti i soggetti fragili, o meno fragili». Su un totale di 8,36 milioni di persone che vivono da sole in Italia, quasi la metà (4,12 milioni) hanno 65 anni o più e di queste ben l’88,6% è proprietaria della casa in cui abita. La quota di individui di over 65 passerà dal 23,5% del 2021 al 34,9% dell’anno 2050. Nel 2041 il numero di persone sole con 65 anni o più raggiungerà il 60% del numero complessivo delle persone sole, per un totale di 6,1 milioni di individui. Partendo da questi numeri gli aspetti positivi del senior co-housing secondo il Consiglio nazionale del Notariato sono molteplici. A partire dalla possibilità di vivere insieme mantenendo la propria indipendenza. Ma notevoli sono le ripercussioni in termini di risparmio, sicurezza e riqualificazione degli edifici.
La consigliera nazionale Alessandra Mascellaro nel corso dell’audizione ha sottolineato le potenzialità in termini di azzeramento del consumo del suolo. «Potrebbe essere una leva per la rigenerazione urbana e per il rilancio dell’industria edilizia di qualità, attraverso opere diffuse di riqualificazione ecosostenibile degli immobili residenziali e il riuso del patrimonio costruito, attuati sulla base di atti di pianificazione, o programmazione regionale o comunale». Ma soprattutto potrebbe portare un «miglioramento della qualità di vita degli anziani, perché si ottiene un risparmio fino al 30% dei costi di vita, si ha maggiore sicurezza personale, migliore assistenza alla persona anziana e socialità diffusa» ha aggiunto. Nella declinazione della coabitazione intergenerazionale infine potrebbe integrare giovani in condizioni svantaggiate.
Per il Notariato sarebbe opportuno inserire nel decreto uno schema contrattuale nuovo «che possa raccogliere le molteplici istanze sociali e dare certezza al rapporto di convivenza che si andrà a creare». In base alla situazione di partenza e alle varie esigenze dei coabitanti ci potrà essere un contratto di compravendita, con tutti i coabitanti padroni dell’immobile, o di locazione nel caso in cui la struttura appartenga ad uno di solo di loro o ad un soggetto terzo, sia esso un privato, una società o un ente non profit.