Per le Acli la lotta alla povertà estrema deve aprire la stagione delle riforme. E ieri alla Cattolica, durante la seconda giornata della conferenza organizzativa, l’associazione dei lavoratori cristiani ha proposto una social card riveduta e corretta, che entro tre anni possa raggiungere le famiglie italiane - sono il 4,2% - sotto la soglia d’indigenza. Misura che unirebbe un contributo economico più alto (da 40 a 133 euro mensili a nucleo) a un pacchetto di servizi alla persona. E che sarebbe sostenibile per le casse dello Stato. Le Acli stimano una spesa aggiuntiva di 665 milioni all’anno fino al 2013, meno di due miliardi di euro. Fondamentale la sussidiarietà. Un ruolo chiave spetterebbe infatti ai Comuni, erogatori dei servizi, e al Terzo settore, coinvolto nell’identificazione dei bisognosi e nella fornitura di servizi in convenzione. Il progetto è stato elaborato con un gruppo di ricercatori dell’ateneo di largo Gemelli coordinata da Cristiano Gori. «Proponiamo un piano di tre anni contro la povertà – ha spiegato il presidente delle Acli Andrea Olivero – lo presenteremo nelle prossime settimane al ministro Sacconi e poi alle forze politiche. Speriamo in un accordo bipartisan su una misura che accompagnerà le persone fuori dalla povertà assoluta».Alle Acli non è piaciuta la prima Social card. «Vero – ha puntualizzato Olivero – andiamo a rinnovare dall’interno uno strumento che all’inizio non ci ha visti entusiasti. Si tratterebbe però della prima misura del genere in Italia. Chiediamo a tutti pragmatismo». Due le critiche messe in conto. La prima, nel Belpaese dei furbi, di aiutare falsi poveri. La seconda di varare misure assistenziali che non stimolino la ricerca di lavoro.«Occorre rigore supplementare nei controlli da parte dello Stato – ha ribattuto il presidente delle Acli – altrimenti non si farà mai nulla. Noi siamo per mantenere la presentazione del modulo Isee per accertare il reddito delle famiglie. Assistenzialismo? I servizi offerti devono riguardare anche istruzione e formazione professionale». Secondo Cristiano Gori, lo strumento così rivisto consentirebbe di varare un vero e proprio laboratorio di federalismo nel campo del welfare. «Nel settentrione – ha dichiarato lo studioso – il costo della vita è nettamente superiore, sino al 30% di differenza, ma la soglia di disponibilità economiche da non superare per ricevere la Carta e il suo importo sono i medesimi in tutto il paese. Questo significa, in termini reali, svantaggiare il Nord. La Card corretta prevede invece soglie d’accesso e importi differenziati in base al costo della vita dei territori».La Caritas italiana condivide l’idea. «L’interessante proposta delle Acli – ha dichiarato il vicedirettore Francesco Marsico – rappresenta un invito realistico al governo a essere coerente con gli obiettivi che si è dato nella lotta alla povertà assoluta». D’accordo anche la Cisl. «L’allargamento dell’utenza della Social card è positivo – ha detto Pietro Cerrito, segretario confederale per le politiche sociali – perché la povertà non riguarda solo gli over 65».