Il caso. A Salerno le Fonderie Pisano rivivono il dramma Ilva
A Salerno le Fonderie Pisano stanno vivendo in piccolo lo stesso dramma dell’Ilva di Taranto. Nate a Baronissi all’inizio dell’800 – si spostarono nel ’900 a Fratte, allora periferia di Salerno – costruivano telai per le Manifatture cotoniere meridionali (Mcm), volute dagli svizzeri nella valle dell’Irno. Poi si sono specializzate nella fusione della ghisa: i tombini di quasi tutta Italia e di mezzo mondo venivano fusi qui. Da un po’ di tempo si sono riconvertite e hanno cominciato a produrre volani per trattori industriali e automotive per aziende del gruppo Fca. Le difficoltà sono arrivate con la chiusura delle Mcm (di recente trasformate in centro commerciale) e con una ex area industriale sempre più assediata dalle case. Tanto che da alcuni anni è cominciata una battaglia legale per le accuse di inquinamento e di aver provocato diverse morti per tumore. Con le proteste dei lavoratori e degli abitanti della zona (e con l’arcivescovo Luigi Moretti che più volte è intervenuto per placare gli animi).
Ma la magistratura sembra aver messo fine a questa vertenza. I periti della Procura di Salerno, infatti, si sono pronunciati pochi giorni fa. Non c’è prova scientifica del nesso di causalità e il sostituto Roberto Penna ha archiviato l’inchiesta con un provvedimento controfirmato dal procuratore aggiunto Luca Masini. Si è chiuso così un altro capitolo della saga sull’impianto di Fratte. Indagati, per reati ambientali, erano i cinque eredi dell’azienda di lavorazione della ghisa: Mario, Guido, Renato, Ciro e Ugo Pisano per i quali ormai l’inchiesta è definitivamente chiusa. A presentare la denuncia fu il Comitato Salute e Vita. Era il 2016 quando i rappresentanti del Comitato consegnarono a Penna una lettera-denuncia e i nominativi di 215 persone, alcune delle quali già morte, altre ancora in lotta per la vita. Sono stati presi in considerazione soprattutto i casi delle persone decedute. Si è cercato di ricostruire tutte le loro abitudini di vita attraverso anche il racconto dei loro familiari. E così si è scoperto che su 41 cartelle cliniche, 30 riguardavano fumatori accaniti che hanno fatto uso di tabacco dai dieci ai 30 anni. Quindi sono state effettuate delle ricerche sugli effetti della silice con il cancro e non si sono trovate prove scientifiche.
Un risultato che ha spinto il legale rappresentante delle Fonderie Pisano a diramare una dura nota contro chi vuole mettere in dubbio la perizia e la conseguente decisione del magistrato. L’avvocato Salvatore Sica ha precisato che l’azienda ha sempre avuto fiducia nell’operato della magistratura e attende ancora una decisione sulla delocalizzazione. Come il polo siderurgico pugliese, anche le Fonderie Pisano si sono trovate nel mezzo di una contesa tra diritto alla salute e diritto al lavoro. Tra aperture e chiusure imposte dalla Procura, l’azienda salernitana ha perso circa il 60% del fatturato e numerose commesse. Sono stati messi a rischio un centinaio di posti di lavoro, con i dipendenti costretti a lavorare a rotazione, tra cassa integrazione o solidarietà. E pensare che l’impresa aveva perfino intenzione di creare un polo meccanico e assumere una ottantina di persone.
Francesca D’Elia, segretaria provinciale della Fiom Cgil, punta il dito contro la burocrazia e la politica che ancora non hanno individuato la nuova area. «Invece – spiega la sindacalista – bisogna assecondare l’innovazione e non osteggiarla, attraverso l’adozione di nuove tecnologie, l’investimento in macchinari e impianti, la promozione di una nuova cultura del lavoro in una logica 4.0. Un suggerimento e una riflessione che coinvolge anche e soprattutto il territorio salernitano alle prese con imprese che stanno cercando di delocalizzare gli stabilimenti, per convenienza o per necessità. La ricetta del sindacato e dell’industria è sempre la stessa, anche nel caso delle Fonderie Pisano: assecondare e non osteggiare».