1 maggio. Scarso, incerto e sempre più fragile: il lavoro fa festa tra mille problemi
I sindacati tornano in piazza per la festa del lavoro dopo due anni di assenza per cause di forza maggiore. Due anni in cui molte cose sono cambiate e purtroppo in peggio: la pandemia prima e la guerra in Ucraina dopo hanno aperto una crisi profonda nel sistema economico e occupazionale. Il lavoro è diventato sempre più fragile, con la precarietà e la flessibilità diventate l’unica porta d’accesso per i giovani e le donne, e sempre più povero con l’inflazione che erode i salari di operai ed impiegati. Nel frattempo anche le modalità sono cambiate con l’introduzione massiccia dello smart working e la necessità di bilanciare presenza e competenze digitali.I confederali si sono dati appuntamento ad Assisi per lanciare un messaggio di speranza per la popolazione ucraina – lo slogan della manifestazione è «Al lavoro per la pace» –, ma anche per ribadire che occorrono interventi immediati per ri-dare dignità al lavoro. Il primo passo è un aumento dei salari, con il rinnovo dei contratti nazionali scaduti per sette milioni di persone, la lotta alla precarietà e interventi mirati sulla sicurezza. Dal palco i tre segretari generali, Luigi Sbarra della Cisl, Maurizio Landini della Cgil e Pierpaolo Bombardieri della Uil chiederanno al governo di dare risposte chiare in tempi brevi per evitare una nuova ondata di povertà. Anche alla luce della frenata dell’economia nel primo trimestre dell’anno con il Pil in retromarcia (-0,2%) sul trimestre precedente e una revisione al ribasso delle stime di crescita per l’anno in corso.
L’ultimo rapporto Eurostat relativo al 2021 conferma il considerevole ritardo dell’Italia (penultima dopo la Grecia) in termini di occupazione complessiva (58,2%) e soprattutto femminile (49,4%) con un divario di 14 punti rispetto alla medio europea. Gli inattivi sono il 34% della popolazione e un giovane su quattro al di sotto dei 25 anni è disoccupato. La ripresa dell’occupazione che pure c’è stata dopo la frattura del 2020 è stata trainata quasi esclusivamente dai contratti a termine. I lavoratori a tempo determinato sono 3,2 milioni (650mila in più rispetto a dieci anni fa) e rappresentano il 14% del totale. Altra stortura del sistema la diffusione del part-time, spesso involontario, che è salita al 19,8%.Ma il dato che preoccupa di più è in questo momento l’effetto dell’inflazione che corre ad un ritmo vertiginoso e manda in fumo il potere d’acquisto delle famiglie. Censis e Ugl proprio in occasione del 1 maggio hanno fotografato l’evoluzione degli ultimi dieci anni calcolando che il valore reale delle retribuzioni in Italia è crollato dell’8,3%. Alla categoria dei "working poors" appartengono il 13,3% degli operai e il 7,6% degli indipendenti. Il 30% dei giovani è sottopagato (vale a dire ha una busta paga inferiore ai 953 euro per il full-time e ai 533 per il part-time). Il Paese è attraversato da divari che si fanno sempre più profondi oltre a quello di genere con le donne che guadagnano il 37% in meno dei colleghi e a quello generazionale, altrettanto marcato, c’è la questione geografica con il Mezzogiorno in forte ritardo.