Il premio Nobel Maria Ressa. La Terza guerra mondiale? «È già sui social network»
Un ritratto di Maria Ressa
L’erosione della democrazia inizia con l’attacco alle donne e ai giornalisti». Maria Ressa, cittadina americana di origine filippine, ne è certa: sono le donne a guidare il cambiamento e per questo spesso, troppo spesso, finiscono nel mirino dei dittatori. Così come è accaduto a lei, del resto, che nelle Filippine, dove ha lavorato per la Cnn e poi nel 2012 ha fondato il sito di giornalismo investigativo online Rappler, è stata sottoposta a pretestuose accuse che l’hanno portata in carcere. Nemica giurata dell’allora presidente Rodrigo Duterte (2016 al 2022), premiata nel 2021 con il Nobel per la pace insieme a Dmitrij Muratov, direttore del periodico indipendente russo Novaja Gazeta, «per i loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, che è un prerequisito per la democrazia e la pace duratura», Maria Ressa ha ingaggiato una battaglia contro il potere manipolatorio dei social network, in grado di minacciare la pace nel mondo.
Maria Ressa, donne e giornaliste nel mirino del potere autoritario, dunque?
Il 72% delle giornaliste intervistate di recente dal Centro internazionale per i giornalisti (CfJ) ha dichiarato di aver subìto attacchi, e nel 20% dei casi si è trattato di attacchi fisici. D’altro canto sono le donne, nel mio Paese e in molte altre parti del mondo, come l’Iran, a guidare il cambiamento lottando per un posto a tavola.
C’è una specifica responsabilità femminile nel tenere accesi i riflettori sulla condizione delle donne in alcuni Paesi?
Penso che non sia solo una responsabilità delle donne, ma di tutti. Non sono solo le donne a soffrire quando non hanno pari diritti, ma anche gli uomini. Credo che l’obiettivo della società, a prescindere dal sesso, sia quello di assicurare equa rappresentanza e parità di diritti.
Rispetto ad altri Nobel, quello per la Pace ha un maggior numero di donne premiate. C’è una specificità femminile nel costruire o mantenere la pace?
Le donne premio Nobel per la pace sono 20, un numero comunque basso che spero possa aumentare. In Sudafrica esiste la parola ubuntu, che descrive l’empatia più profonda. Credo che le donne arrivino alla leadership con questa empatia e con l’idea di “fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”. Non credo che le differenze nella leadership di uomini e donne sia una questione di genere, quanto piuttosto culturale e dipende soprattutto dal fatto che le donne danno la vita e storicamente crescono la famiglia. Dovremmo unire queste caratteristiche, in modo che la forza di un uomo sia complementare alla forza di una donna. Questo è il fondamento di una società.
Lei è stata accusata nelle Filippine per diffamazione informatica e per reati fiscali a causa delle sue inchieste sul malaffare, la corruzione e i metodi brutali usati nella guerra alla droga. Pensa che ci sia stato un accanimento contro di lei anche a causa della natura patriarcale del regime di Duterte?
Il presidente Duterte mi aveva preso di mira, e i rapporti di forza erano asimmetrici. Facevo il mio lavoro di giornalista, eppure tra il 2018 e il 2019 ho subìto 11 processi, ho dovuto pagare 8 cauzioni in 3 mesi. Sono stata arrestata 2 volte e detenuta una volta. Le uniche 2 accuse rimaste in piedi sono alla Corte Suprema: mi si contestano reati commessi prima che la legge fosse in vigore. Accanimento contro di me perché donna? Duterte ha preso di mira molti gruppi giornalistici, ma abbiamo tenuto duro perché eravamo indipendenti. Eravamo guidate da quattro donne e non avevamo altri interessi oltre alla sfera pubblica.
Lei accusa i social media e l’intelligenza artificiale di minacciare la pace nel mondo. Può riassume come questo può accadere?
Uno studio del MIT del 2018 ha dimostrato che i social media, proprio per come sono progettati, diffondono le bugie sei volte più velocemente. I nostri dati, raccolti nelle Filippine e in altre parti del mondo, hanno dimostrato che le menzogne, collegate con la rabbia e l’odio, si diffondono di più e più rapidamente dei fatti. Questo ha portato al settarismo, al metterci gli uni contro gli altri, a fomentare o persino creare paura, rabbia e odio. In questo clima, abbiamo davvero la facoltà di scegliere per chi votare? Le piattaforme usano le nostre emozioni per cambiare il modo in cui ci sentiamo o pensiamo e dunque il nostro voto viene manipolato. Così si è accelerata l’ascesa di autocrati e dittatori: oggi il 72% del mondo si trova sotto un regime autoritario. E questo, in definitiva, è l’impatto globale: i social media hanno distrutto la nostra realtà condivisa, la sede della democrazia. L’impunità online ha portato all’impunità offline: ne abbiamo continuamente prove, con le guerre dell’informazione ingaggiate da Duterte e il suo successore Marcos, da Trump, per non parlare di quanto è accaduto con la Brexit e l’aggressione russa all’Ucraina. La disinformazione riesce a fabbricare nuove realtà.
Uno scenario preoccupante, soprattutto per i giovani.
Quando siamo sui social, la struttura degli algoritmi è progettata per dar fiato al peggio dell’umanità. Va contro i 10 comandamenti: non si deve mentire, eppure l’algoritmo premia le bugie. È in questo ambiente che vivono i nostri figli; viene insegnato loro a mentire per ottenere una ricompensa. Questo è uno dei motivi per cui il mondo intero e il suo sistema di valori si sono capovolti.
Come se ne viene fuori?
Io e Dimitri Muratov, il mio covincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2021, abbiamo elaborato un piano d’azione in 10 punti, rivolto all’Unione Europea, l’unica istituzione che oggi agisce per proteggere la sfera pubblica. Nel mio libro “Come resistere a un dittatore, la battaglia per il nostro futuro” ne spiego alcuni. Il primo è fermare il controllo dei dati degli utenti a scopo di lucro, poiché le grandi aziende tecnologiche li usano per manipolarci in modo insidioso. Il secondo è fermare i pregiudizi codificati: gli algoritmi della Silicon Valley e ora della Cina codificano i rispettivi pregiudizi. E quello che abbiamo visto nei loro prodotti è che se sei una donna, se sei LGBTQ+, se sei nero, se sei marrone, se sei emarginato nel mondo reale, nei social lo sei anche di più. Il terzo è il giornalismo come antidoto alla tirannia.
Pensa che se ci fossero più donne nei governi ci sarebbero meno guerre nel mondo?
Sa dirmi il nome di una dittatrice? Fuor di battuta, spesso penso che sia così. Torno a quella parola, empatia. I social media, per come sono programmati, sono un fango tossico che tira fuori il peggio dell’umanità. Eppure se la tecnologia ci spinge verso il peggio, credo nella bontà della natura umana e che le persone hanno bisogno di credere nel bene. Ecco, credo che le donne siano più inclini a vedere il bene collettivo.