Afghanistan. Quella fierezza nel volto di Gul, simbolo di tutte le donne che resistono
Con questa e decine di altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire fino all'8 marzo daranno voce alle bambine, ragazze e donne afghane. I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l'università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l'appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE
Nell'ambito del progetto #avvenireperdonneafghane pubblichiamo una riflessione della scrittrice e inviata di guerra Tiziana Ferrario, autrice di numerosi libri tra i quali, nel 2021, “La principessa afghana e il giardino delle giovani ribelli” (Chiarelettere). Ferrario per questo breve racconto scritto per Avvenire si è ispirata al ritratto di GulAfrooz, una donna di Herat, della fotoreporter romana Laura Salvinelli, specializzata in fotografia sociale. Gul non conosce esattamente la propria età. «Sono diventata così per le botte di mio marito. Ho un piede deformato per una frattura non curata, non ci sto con la testa e i miei 5 figli non mi riconoscono come madre».
Osservo lo sguardo di Gul Afrooz e intravedo ancora una luce nei suoi occhi, nonostante le prove durissime che la vita le ha sicuramente riservato. Guardo il suo volto ambrato segnato da rughe profondissime, che contrastano con i capelli neri striati da pochissimi fili grigi e ritrovo in lei la fierezza di una donna che non si è ancora arresa. È la fierezza di tante donne afghane che hanno il coraggio di opporsi alle tragiche regole talebane e che continuano a chiedere di tornare a lavorare e a studiare, ma sinora le porte delle università sono rimaste sbarrate per le ragazze.
Sembra già anziana Gul Afrooz, ma probabilmente non è così avanti con gli anni come appare. La vita è durissima tra i picchi dell’Hindu Kush e i deserti afghani e se si nasce donna è una sfida continua con la morte. Ti alzi la mattina e non sai se tuo padre ti cederà in sposa per sfamare gli altri figli, per saldare un debito, per sedare una lite tra vicini, per rinsaldare legami tra tribù. E una volta che sarai nella casa di un marito che non hai scelto potrà succedere che ti picchierà o ti ripudierà se non sarai in grado di dargli degli eredi o ti caccerà accusandoti di reati come l’adulterio facendoti arrestare e rinchiudere in prigione. Potrebbe anche ucciderti e restare impunito se sei rinchiusa in uno dei tanti villaggi sperduti nelle vallate afghane ai piedi delle più alte montagne del mondo.
Succede spesso alle donne afghane di fare una brutta fine e la situazione con l’arrivo dei taleban è diventata disperata. Un ritorno al passato, ad un regime che credevamo sconfitto. E invece dopo 20 anni di occupazione occidentale, gli sconfitti siamo stati noi e i taleban sono ritornati al potere con le loro follie contro le donne alle quali è proibito studiare, lavorare e persino passeggiare nei parchi.
Non sappiamo molto della vita di Gul Afrooz, vittima di un marito che la picchiava e la trattava peggio di un animale. Dice di avere problemi mentali, ma chi vivendo in Afghanistan, subendo e assistendo alle violenze quotidiane contro le donne non avrebbe problemi mentali? Il problema è che nessuno le fornirà le cure necessarie, perché il sistema sanitario è imploso da tempo. Sappiamo che Gul Afrooz ha avuto 5 figli con i quali non ha più alcun rapporto. Possiamo solo immaginare il dolore che ha nel cuore quando dice che non la riconoscono come madre.
In tante famiglie afghane si cresce assistendo ad abusi quotidiani in famiglia e si crede che sia la normalità picchiare le femmine di casa. Sono gli uomini a comandare in Afghanistan, uno tra i Paesi più poveri del mondo, devastato da decenni di guerre che hanno trasformato la tolleranza di un tempo in odio stratificato nella società. Gul Afrooz sta provando ad andare avanti grazie al lavoro di organizzazioni umanitarie come GVC che l’aiutano a sopravvivere con dignità. Se non ci fossero i volontari il destino di tante donne come lei, vedove e sole, sarebbe quello di andare a chiedere l’elemosina per le strade nel fango. Non c’è futuro per le donne che non hanno un uomo accanto in Afghanistan. I sogni di tante ragazze nate dopo il 2001 si sono infranti con il ritorno dei taleban. Chi ha potuto è scappata, ma sono milioni le giovani rimaste a soffrire. Non ha futuro un Paese governato con la violenza da soli uomini che odiano le donne e pensano che si possa fare a meno di metà della sua popolazione, lasciandola nell’ignoranza. Bisognerebbe fare di più, almeno non dimenticarle.
Tiziana Ferrario, giornalista e scrittrice
Tiziana Ferrario - Alvaro Padilla, Imagoeconomica