Afghanistan. Nada, il rap e la sua resistenza sotto il regime taleban
Nada, giovane cantante afghana: «Durante la notte, in segreto, continuo a scrivere canzoni, la musica vive nel mio cuore, o forse, il mio cuore vive nella musica»
Con questa e decine di altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire hanno dato voce alle bambine, ragazze e donne afghane. I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l'università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l'appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE
Resistere col rap sotto il regime taleban che non permettono la musica nel loro Paese è un atto di coraggio. Ancora di più se si è una giovane donna. Nada, giovane cantante afghana, di 27 anni che fa musica da quando aveva solo 18 anni vive ancora ad Herat, da cui non è riuscita a fuggire. I suoi lavori e le sue canzoni riguardano principalmente la situazione delle donne, lo stato d’animo di chi vive in Afghanistan, le disuguaglianze all’interno del paese, e sta facendo questa carriera più come attivista che come cantante.
“Sono una cantante, ho scelto questa strada come aspirazione, un impegno per combattere le disuguaglianze che abbiamo nella nostra società, specialmente per quanto riguarda le donne. Il mio sogno è sempre stato di lavorare con la musica per diventare una professionista, in particolare nel mondo del rap. Ho una laurea in arte e musica e speravo di poter continuare la mia formazione” ci racconta Nada. La cantante ha partecipato a molti concerti ed eventi sociali e culturali in Afghanistan prima del regime talebano e ha sempre lottato per la libertà di genere, ha messo a servizio il suo talento per dare voce alle donne in Afghanistan.
“Purtroppo, non sono riuscita ad uscire dal paese nonostante i numerosi tentativi, sono ancora in Afghanistan, a Herat. Amo profondamente il mio paese ma di quello che era non è rimasto più niente” aggiunge desolata l’artista che ricorda come era la vita prima dell’avvento del nuovo regime talebano. “Dopo il primo regime talebano c'è stata una grande trasformazione, sia dal punto di vista dello sviluppo che della condizione femminile. Il 2001 ha segnato una rinascita per le donne, finalmente hanno iniziato ad uscire, ad andare a scuola, all'università e a lavorare, sia nel settore pubblico che nel privato – ricorda Nada che è cresciuta in quel clima -. Avevano il diritto di cantare e fare musica, cinema, lavorare sui media. Forse è stata la prima volta in cui le donne hanno iniziato a lottare per i propri diritti, molte sono diventate attiviste. Hanno iniziato a scrivere rapporti sulla violenza, a partecipare a manifestazioni e proteste. Certo non tutte hanno avuto le stesse opportunità di emancipazione, rispetto ai centri urbani le province sono rimaste più arretrate”.
Anche lei, come tante donne afghane, ha dovuto cambiare rotta, ma ringrazia l’aiuto delle associazioni. “L’apporto dato dalle ong al paese è stato fondamentale per l’emancipazione femminile. Anche nel mio caso personale. Quando sono entrata in contatto con WiBH, l’Hub femminile di Nove Onlus, ho voluto seguire i corsi on line di computer, perché capivo quando fossero importanti per la mia evoluzione personale e artistica – aggiunge Nada -. La formazione mi ha permesso di gestire i vantaggi del digitale, ho potuto approfondire meglio come è il mondo, conoscere nuovi generi musicali e acquisire moltissimi strumenti. Sono entrata in contatto con artisti internazionali e ho potuto diffondere in rete i miei lavori”. Ma cosa rappresentano le canzoni e la musica per un’artista come lei? “La mia musica è la mia essenza, vuole dare voce a temi sociali, discriminazioni, violenze familiari, di diritti e di uguaglianza. Molte delle mie canzoni sono messaggi dalle donne e per le donne, sono una rappresentazione dell’interiorità femminile, un mondo profondo, risonante, che chiede di essere riconosciuto e compreso – spiega l’artista -. Prima dei talebani i miei erano messaggi di esortazione e di speranza, uno sprone alla lotta contro i retaggi di una mentalità ancora patriarcale e arretrata. Il cammino verso la libertà, anche se pieno di ostacoli, era percorribile. Oggi la mia narrativa e il mio stile sono cambiati. I nuovi testi non vibrano più di speranza, ma di dolore, rabbia, paura, di parole non dette, di richieste di aiuto mai ascoltate. Tutta la disperazione che sgorga da questo macabro isolamento femminile”.
Ora la sua vita è a rischio in Afghanistan: “Quando i talebani hanno occupato l'Afghanistan tutto è cambiato, con i miei trascorsi di cantante e attivista la mia posizione è estremamente delicata. Sono praticamente relegata in casa. Devo nascondere la mia identità e le mie attività, non posso parlare delle mie canzoni né esprimere le mie idee con nessuno, per non mettere a repentaglio la mia vita e quella dei miei familiari. Le mie canzoni in procinto di essere prodotte sono relegate in nascondigli inaccessibili, prive di voce. Ma l’arte non può essere repressa e soffocata troppo a lungo, vorrebbe dire spengere l’anima. Durante la notte, in segreto, continuo a scrivere canzoni, la musica vive nel mio cuore, o forse, il mio cuore vive nella musica”. Il futuro può avere ancora speranza, le chiediamo? “Spero che porteremo il nostro paese, e magari il mondo, verso la libertà, la pace e l'uguaglianza. E che nessuno sia più costretto a subire abusi di politiche dissennate. Spero di tornare a dedicare la mia vita e la mia musica alle donne e ai diritti. Vorrei che un giorno le mie canzoni arrivassero a tutti, per far capire cosa vuol dire essere perseguitate per la sola colpa di essere donna.Mai come adesso abbiamo disperatamente bisogno di non essere abbandonate. Abbiamo bisogno dell’aiuto dei governi per liberalizzare l'istruzione e i diritti delle donne, delle ONG per sopravvivere a questo momento, e più di tutto della mobilitazione dell’opinione pubblica, della rete e dei media”.