Afghanistan. Il suo caffè a Kabul distrutto in un attentato: Zahra non vuole tornare
Zahra Rizaye
Con questa e decine di altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire fino all'8 marzo daranno voce alle bambine, ragazze e donne afghane. I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l'università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l'appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE
Giovane, bella, laureata, economicamente indipendente: cosa poteva fare se non scappare quando i taleban hanno ripreso il potere in Afghanistan? «Rivendicavo per me e per le altre donne il diritto a prendere tutte le decisioni importanti della nostra vita. Ho scelto di farlo attivamente, schierandomi e manifestando ogni volta che ho potuto». E, ma questo va da sé, pagandone le conseguenze: l’avventura imprenditoriale di Zahra Rizaye, 36 anni, ha avuto vita breve. “Nel 2016, insieme a due amiche, ho aperto un Caffè nel centro di Kabul, perché speravo di creare opportunità di lavoro per le donne. È stato entusiasmante, finché è durato, avere uno spazio simile, dover rendere conto solo a noi stesse del nostro lavoro, senza nessun uomo a dirigerci, a controllarci, a dirci cosa fare. Abbiamo investito 45mila dollari, andati in fumo nel 2017 a causa di una grande esplosione avvenuta nelle vicinanze che ha ucciso quasi 300 persone».
Non è certo che il caffè fosse tra i bersagli mentre è certo che dopo l’esplosione il locale ha chiuso i battenti: «Abbiamo perso ogni cosa: il Caffè ha chiuso i battenti e tutti i nostri sogni di essere imprenditrici. Di riuscire a essere utili anche ad altre donne noi si sono infranti per sempre».
Le donne afghane sono estremamente vulnerabili dopo la caduta del governo nelle mani dei taleban: «Per questo – dice Zahra - mi consola e mi dà speranza sapere che i Paesi europei come l'Italia continuano a sostenerle, non le dimenticano come sarebbe facile. Tutti possono vedere quanto sia diventata difficile la vita per loro, è importante tenere desta l’attenzione sul problema».
Prima impiegata presso l’Unione Europea e poi alle dipendenze di una Ong australiana che sostiene i diritti delle donne afghane, Zahara oggi vive in Austria, “Un paese pacifico – lo descrive - con molte opportunità per crescere, dove spero di riuscire a esaudire qualcuno dei miei sogni. Non ho ancora un lavoro qui, però, mi ci vorrà ancora un po 'di tempo per imparare la lingua».
E qualche giorno per partorire il secondo figlio, una bambina: «Si capisce perché non ho intenzione di tornare nel mio Paese, un posto dove le ragazze e le donne sono prigioniere nelle loro case e non possono studiare e lavorare. Non possono neppure muoversi senza un uomo che le accompagni e non sono al sicuro da nessuna parte. Eppure, sono milioni le famiglie in cui sono unicamente le donne a garantire il pane quotidiano, a essere il vero capofamiglia. No – ripete Zahra - non farò mai più ritorno perché non posso vivere in quelle condizioni e non imporrei mai questa condizione i miei figli. Non l’ho voluta per me, come potrei volerla per loro?».
Eppure, si può soffrire di nostalgia anche per un Paese come l’Afghanistan: «Certo che sì. Amo ogni angolo della mia amata terra, con tutta la mia anima e il mio cuore. Ho tutti i miei ricordi laggiù e mi manca ogni giorno quello che facevo nel mio Paese, quello che facevo per il mio Paese. Vorrei che tutti gli afghani vivessero in pace e non morissero per arricchire Paesi più potenti. Vorrei – prosegue - che ciascuno avesse abbastanza cibo da mangiare e abbastanza tranquillità per vivere. Vorrei uguali diritti per tutti, ma non tutto il potere per una sola etnia».