Arcivescovo di Bologna. Zuppi, il prete con la porta sempre aperta
Il nuovo arcivescovo di Bologna in tre parole? «Vangelo, amicizia, poveri». Lo dice uno che, come amico di una vita di monsignor Matteo Zuppi, confessa di essere «di parte». Mario Marazziti, portavoce storico della Comunità di Sant’Egidio e oggi parlamentare, non nasconde la sua gioia per una nomina che porta il vescovo ausiliare di Roma sulla cattedra di Petronio, in una città dove le sue innate (e sperimentate) capacità di «intessere la tela del dialogo e costruire ponti» porteranno certamente frutto, aprendo strade nuove per l’incontro tra la grande tradizione della Chiesa bolognese e la cultura laica della città, ultimamente alquanto appannata. Marazziti ha in mente un’infinità di episodi, e di Zuppi dice che «è a suo agio in ogni ambiente, è uno che va alla sostanza delle cose senza disperdersi, ha per tutti un sorriso che travolge ogni resistenza, esprime sempre un tratto umano empatico, si concentra sul suo interlocutore: da lui ci si sente accolti, anzi, attesi». Lo ricorda nelle trattative di pace in Burundi: per tutti era impossibile ricucire una possibilità di convivenza tra hutu e tutsi, non per lui, che «davanti a esponenti di comunità che avevano le mani ancora lorde di sangue costruì il quadro di una possibile nuova pace, convincendoli della possibilità di imparare di nuovo a stare insieme». Formatosi a Roma nella cultura laica, Zuppi è «un uomo mite e forte, profondamente spirituale. Con lui non ci sono orari, la sua porta è sempre aperta, notte e giorno, in primis per chi è più al margine. Si fatica a distinguere tra i suoi amici e i poveri, che amici lo diventano subito, tale è la sua consuetudine con gli esclusi. Come parroco a Trastevere ha reso la parrocchia un luogo aperto, dove tutti hanno un loro posto e possono impegnarsi. La Messa era una vera festa popolare, con la liturgia curatissima, e i poveri e i disabili come ospiti d’onore, ma con gli intellettuali perfettamente a loro agio». Dal centro Zuppi fu poi trasferito nel 2012 nella immensa periferia romana, a Torre Angela, una delle parrocchie più popolose della diocesi del Papa. «Appena arrivato – ricorda Marazziti – gli chiesero: "Ma che ha fatto di male per finire qui in periferia?". E lui rispose: "La periferia è dove non c’è Gesù, qui c’è Gesù, qui c’è il centro"».