La guerra in Ucraina. Zuppi a Pechino, dialoghi di pace
Sullo sfondo delle guglie della cattedrale cattolica in stile gotico della vecchia Canton, poco più di un mese fa, un gruppo di fedeli animati dal loro sacerdote pregavano a mani giuste per la pace davanti alla piccola statua della Madonna. «Preghiamo per le intenzioni del Papa» aveva detto il giovane sacerdote Giuseppe Zhang da poco arrivato nella oggi avveniristica capitale finanziaria della Cina meridionale dalla provincia dello Shannxi. La stessa provincia cinese dalla quale era giunto anche il nutrito gruppo di cattolici con i loro sacerdoti per partecipare alla Messa celebrata da papa Francesco in Mongolia il 3 settembre scorso, al termine della quale il Papa aveva salutato calorosamente «il nobile popolo cinese». E al quale più volte si è rivolto manifestando il suo rispetto e stimando apertamente la Cina, nel contesto asiatico, come possibile chiave per i processi di pace nel mondo. A fronte anche dei 12 punti del piano pubblicato dal ministero degli Esteri cinese nel primo anniversario dall’inizio della guerra in Ucraina, nella quale la Cina ha chiesto il cessate il fuoco ed ha ribadito il no di Pechino all’uso di armi nucleari. Un piano che è apparso come una summa del pensiero cinese sulla guerra in corso. E su questo filo sembra ora muoversi una possibile sintonia tra le intenzioni della Santa Sede e quelle di Pechino.
Ieri Mao Ning, la portavoce del ministero degli Esteri cinese ha affermato: «Siamo disposti a lavorare con tutte le parti per continuare a svolgere un ruolo costruttivo nel promuovere la distensione e il raffreddamento della situazione» e per oggi ha confermato l’incontro a Pechino del cardinale Matteo Zuppi con il diplomatico Li Hui, fino al 2019 ambasciatore in Russia e rappresentante speciale del governo cinese per gli affari eurasiatici. Dopo i viaggi a Kiev, Mosca e Washington del presidente della Cei – inviato speciale del Papa alla ricerca di percorsi che allentino le tensioni e «possano condurre ad una pace giusta» per la risoluzione della guerra che insanguina l’Europa – anche l’ultima tappa del piano, quella prevista a Pechino, sembra così oggi diventare realtà. Una tappa che ancora poco più di un mese fa sembrava rimanere appesa ad una tempistica lontana. A sole due ore di aereo dalla capitale della Cina continentale all’inizio del settembre scorso, a conclusione dell’incontro interreligioso a Ulan Bator per tessere la possibilità della pace sempre più difficile, Francesco aveva citato le parole di Kierkegaard su Abramo: «Chi sperò l’impossibile fu il più grande di tutti». E al di là dei risultati che gli incontri con i funzionari dell’apparato governativo cinese potranno raggiungere o meno, solo il fatto che si sia realizzato adesso non è poco. La sortita del cardinale Zuppi che ha ripreso corpo sull’orlo degli ultimi tempi, ha preso il volo in una contingenza propizia. Una contingenza cui hanno contribuito certamente anche le ultime dichiarazioni pronunciate da papa Francesco nel recente viaggio in Mongolia nei confronti della Cina che hanno registrato un impatto molto positivo nel popolo cinese. In particolare l’affermazione del Papa che è diventata virale: «Personalmente ho grande ammirazione per la cultura cinese». Unito anche all’effetto positivo che ha ricevuto anche la dichiarazione rivolta ai cattolici di essere «buoni cristiani e buoni cittadini» che papa Francesco ha preso dal messaggio rivolto ai popoli dell’Asia di Giovanni Paolo I nel 1981. Seppure l’incontro odierno si incentra sul processo di pace in Ucraina, sulla tela della pace si intrecciano anche i fili del dialogo con la Santa Sede. Non bisogna dimenticare quanto affermato dal portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, rispondendo per la prima volta al telegramma inviato dal Papa al presidente Xi Jinping sorvolando lo spazio aereo cinese in volo verso la Mongolia: «Pechino promuoverà il processo di miglioramento delle relazioni tra i due Paesi» e che «la Cina è pronta a continuare a lavorare con il Vaticano per impegnarsi in un dialogo costruttivo, migliorare la comprensione, rafforzare la fiducia reciproca».
Dunque sulla tela della pace non possono che riprendere anche le fila della «strada amichevole» del dialogo della commissione vaticana che lavora da tempo con il governo cinese per l’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi in Cina, stipulato il 22 settembre 2018 e rinnovato una prima volta il 22 ottobre 2020, è stato prorogato per un altro biennio il 22 ottobre 2022. E un gesto di attenzione nei confronti della comunità ecclesiale cinese papa Francesco lo ha compiuto giusto lo scorso 15 luglio nominando Shen Bin vescovo di Shanghai – ordinato vescovo nel 2010 con il mandato pontificio e il riconoscimento delle autorità politiche e considerato da tutti un «pastore stimato» – trasferendolo dalla diocesi di Haimen dopo che, su disposizione delle autorità politiche cinesi, il vescovo era stato già insediato alla guida della diocesi di Shanghai seppure la Santa Sede non era stata inizialmente coinvolta nel suo trasferimento. Dalla Santa Sede il trasferimento del presule Shen Bin non è stato visto come un problema insormontabile essendo di carattere amministrativo e non dottrinale. Bisogna infatti distinguere tra le questioni ecclesiali, di fede, e questioni economiche e amministrative, che di per sé non toccano il deposito della fede. Quello dei trasferimenti dei vescovi sarà semplicemente un punto da chiarire nei prossimi incontri tra le delegazioni sino-vaticane. A tal riguardo, il vescovo di Hong Kong, il gesuita Stephen Chow, prossimo cardinale, ha rimarcato che l’Accordo provvisorio in vigore tra Santa Sede e Repubblica popolare sulle nomine dei vescovi cinesi «ruota attorno al principio fondamentale della consensualità delle decisioni che riguardano i vescovi. Qualora si presentino situazioni che sembrano nuove e impreviste, si tratterà di cercare di risolverle in buona fede e con lungimiranza, rileggendo meglio quanto è scritto e ispirandosi ai principi che ne hanno guidato la stesura». Dal punto di vista della Santa Sede, inoltre, l’intento dell’Accordo, anche tenendo conto delle difficoltà nella sua applicazione, rimane quello di archiviare i sospetti sui Sacramenti validamente amministrati in tutte le chiese cinesi, e mandare in archivio anche gli stereotipi fuorvianti sulle “due Chiese” – quella “fedele al Papa” e quella “legata al governo comunista” – che ancora dilagano nella rappresentazione mediatica conformista del cattolicesimo in Cina.