Una lettera della Congregazione per l’educazione cattolica inviata nel maggio scorso alle conferenze episcopali del mondo è stata rilanciata martedì dall’agenzia cattolica Zenit in vista della riapertura delle scuole nell’emisfero boreale e ripresa ieri dalle agenzie, collegandola anche ad una recente sentenza del Tar del Lazio riguardante l’ora di religione. Per contestualizzare il documento, «Avvenire» ha sentito monsignor Angelo Vincenzo Zani, dal 2002 sottosegretario del dicastero.
Di che tipo di documento si tratta? Non è un documento da intendersi nel senso classico del termine – che prevede, cioè, un lungo e complesso percorso di elaborazione con l’aiuto di esperti e di valutazione anche da parte di altri organi della Santa Sede – ma una semplice lettera nella quale vengono rimessi a fuoco e comunicati agli episcopati locali alcuni aspetti già elaborati in altri documenti ufficiali.
Perché è stato scritto? Per tre ragioni fondamentali. Anzitutto perché, verificandosi un ricambio generazionale anche tra i vescovi, occorre offrire un servizio di aggiornamento a chi ha il delicato compito di governare e sostenere le istituzioni e gli operatori dell’educazione nelle diocesi. In secondo luogo, perché attraverso i contatti con i vescovi di tutto il mondo veniamo a conoscere situazioni tra loro estremamente diverse, dove le legislazioni scolastiche di ciascun paese danno all’insegnamento della religione una collocazione istituzionale differente. In terzo luogo, perché il dibattito sulla presenza della religione all’interno del curricolo scolastico è stato ripreso negli ultimi anni anche in sede di organismi internazionali, in considerazione del carattere marcatamente interculturale e interreligioso che sta assumendo la società attuale.
Dov’è che l’esigenza di questa lettera era più avvertita e per quale ragione? Alcuni esempi. Recentemente, alcuni paesi dell’America Latina o anche il Canada, stanno rivedendo i propri sistemi scolastici con la proposta di nuove leggi e, in questo quadro, si pone anche il tema dell’insegnamento della religione all’interno del percorso educativo. Tale argomento è, inoltre, avvertito anche nei Paesi ex-socialisti, come nei paesi dove i cattolici sono una estrema minoranza e trovano nella religione dentro la scuola uno degli strumenti per far conoscere i contenuti antropologici e culturali derivanti dalla Rivelazione. Vi sono poi Paesi segnati da una cultura secolarizzata, anche in Europa, che vorrebbero eliminare l’insegnamento della religione.
Quali sono i punti qualificanti? L’insegnamento religioso scolastico è un diritto dell’alunno e dei genitori perché contribuisce alla formazione dell’uomo anche nella sua naturale dimensione religiosa, oltre che per la formazione dell’uomo e del cittadino; soprattutto nell’attuale cultura pluralistica, esso è uno strumento di rilevante importanza per trasmettere la conoscenza dei temi religiosi nei loro significati trascendenti, antropologici e culturali. Per la religione cattolica tale insegnamento, oltre a questi scopi, è importante sia per far conoscere il suo profilo peculiare e specifico rispetto alle altre religioni. Per queste ragioni, l’insegnamento della religione cattolica, distinto e nel medesimo tempo complementare della catechesi propriamente detta, dovrebbe essere impartito in qualsiasi scuola.
Quali i nessi che può avere con la recente sentenza del Tar del Lazio? Fermo restando che la Lettera è stata resa pubblica ben prima della sentenza del Tar, ritengo che nel pronunciamento del dicastero vaticano vengano ribaditi tutti gli aspetti necessari per far chiarezza sul problema suscitato dal Tar.