Chiesa

L'economista commenta l'enciclica Laudato Si'. Zamagni: uno stop al mercato quando diventa «incivile»

Massimo Calvi venerdì 19 giugno 2015
C’è un filo continuo che unisce l’enciclica Laudato si’  al magistero dei predecessori di Francesco, ma il punto di contatto forse più forte si ha con la Caritas in veritate  di Benedetto XVI: è quando Bergoglio parla di «medesimo male» nell’indicare la causa delle ferite all’ambiente naturale e all’ambiente sociale, cioè quell’idea per cui «la libertà umana non ha limiti». Vi è insomma una crisi morale all’origine dell’avidità umana che genera eccessi nella tecnologia, nell’economia, nella finanza, nel consumo, e scarica i costi di un agire irresponsabile sull’ambiente, i più poveri, i deboli, le generazioni future. All’economista Stefano Zamagni, profondo conoscitore del magistero della Chiesa e ascoltato consulente, chiediamo:Nell’enciclica «francescana», la “Caritas in veritate” è citata una ventina di volte. Che relazione  c’è tra i due testi? La linea di pensiero di Francesco procede in continuità con i predecessori. Non c’è una “rottura” col passato. Il rapporto con la Caritas in veritate  è significativo e si manifesta nell’indicazione che economia ed ecologia devono procedere insieme. Economia ed ecologia hanno la stessa radice comune nella parola greca oikos, casa, piccola comunità. E se l’eco-logia è il “discorso” sulla casa comune, l’eco-nomia può essere intesa sia come 'legge' della casa, se ci si riferisce al termine nòmos,  oppure “cura” della casa, se si sposta l’accento e si parla di nomòs. Francesco si riferisce a questo secondo significato. Non a caso il sottotitolo dell’enciclica è: “Sulla cura della casa comune”. Ecologia ed economia: l’una sopravvive solo se sopravvive l’altra, è il messaggio. Il Papa avverte che anziché essere alleata dell’ecologia, l’economia, come la politica, oggi è sottomessa al dominio del «paradigma tecnocratico». Perché? Il premio Nobel per la biologia Paul Crutzen ha dimostrato come in 200 anni, nel passaggio dall’Olocene all’Antropocene con la rivoluzione industriale, i danni all’ambiente sono stati pari a quelli consumati nei 12mila anni precedenti. E i danni degli ultimi 50 anni sono pari a quelli dei 150 precedenti. C’è stata un’accelerazione nel degrado ecologico, e il Papa ha alzato il suo grido usando il termine spagnolo rapidaciòn. La responsabilità è di quegli economisti che hanno sempre considerato le risorse naturali a disponibilità illimitata delle esigenze della produzione e dell’accumulazione di capitale. Ma anche di quegli ecologisti che hanno portato la concezione conservazionista agli eccessi, asserendo che la natura ha il primato sull’umano. Quali sono gli elementi di maggiore innovazione di questa enciclica? È innovativa innanzitutto per lo stile colloquiale: è lunga, ma chiunque può leggerla e comprenderla. Molto importanti, poi, i capitoli 1 e 5. Nel primo il fondamento scientifico è forte, in sostanza il Papa riconosce il contributo degli scienziati e ne fa tesoro. Il quinto è dedicato alle linee d’azione, ed è quello che più colpirà l’attenzione perché Francesco avanza una critica netta all’economia di mercato, che tuttavia trarrà in inganno molti commentatori  superficiali. In che senso? Francesco non è contro l’economia di mercato, ma contro il mercato quando diventa “incivile”. Cioè quando genera disuguaglianze che producono anche degrado ambientale. Quando soggioga le democrazie e detta i fini dell’azione politica. Quando diventa una religione immanentista, un nuovo vitello d’oro,  come è il «consumismo estremo e selettivo ». Se l’economia cessa di essere “civile” e al servizio del bene comune,  il mercato diventa un problema per l’umanità intera.L’enciclica parla di «intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta» e ricorda che tutto è «intimamente connesso». Come si può rispondere all’inciviltà dell’economia? Il concetto di ambiente come bene in comune è importante. I beni comuni hanno bisogno di un sistema di governo che non è di tipo privatistico, ma nemmeno pubblicistico. Ecco perché il Papa dice no alla privatizzazione delle risorse idriche e delle foreste, condanna fenomeni come il land grabbing,  la “sottrazione” di terre alle popolazioni, o le attività speculative finanziarie che generano volatilità dei prezzi dei beni di primaria necessità. Tutte questioni che sono all’origine del fenomeno dei migranti ecologici. Pur non nominandola, nei fatti Francesco invoca un’autorità mondiale per l’ambiente, sul modello dell’Organizzazione mondiale del commercio. Le questioni sollevate non potranno essere risolte senza un’agenzia in grado di rendere esecutivi gli accordi internazionali su clima e  ambiente.In un contesto globale dominato da «poteri forti» e grandi interessi delle multinazionali, che impatto potrà avere questa enciclica? Come nel “dilemma del prigioniero” della teoria dei giochi, oggi ci troviamo in un circolo vizioso: tutti i giocatori sanno che cosa si deve fare, ma nessuno ha convenienza a muovere il primo passo, sperando di avvantaggiarsi se si muovono solo gli altri. Una situazione di questo tipo si può sbloccare solo se entra in gioco un soggetto terzo con un forte livello di autorità morale e in grado di favorire l’accordo tra le parti. Il Papa può avere questo ruolo. E sarebbe un bene per l’umanità intera. In risposta alla «crescita avida e irresponsabile », Francesco invita a un nuovo stile di vita contro il «consumismo ossessivo» e parla di «decrescita». In che modo attuarla? Sì, c’è il termine «decrescita», ma per come è intesa sarebbe più corretto dire «redistribuzione ». La teoria della decrescita sostiene che 'tutti' devono decrescere, mentre il concetto espresso è che certi Paesi devono darsi una rallentata «procurando risorse» per consentire ad altri di evolvere e crescere in modo sano. Si parla chiaramente di aiuto agli altri. Il salvataggio delle banche, rileva il Papa, è stato pagato dalla popolazione, ma il sistema non è stato riformato e non si è imparata la lezione della crisi. Che lezioni trae l’economista dalla «Laudato si’»? Molte. Superare i riduzionismi, che confondono lo sviluppo integrale con la crescita. Superare le antiche dicotomie che hanno generato disastri, come quella tra economia e ambiente. Imparare, gli economisti, a “sporcarsi le mani” e passare dalle diagnosi alle terapie: è tempo di cambiare le istituzioni economiche quando diventano 'strutture di peccato'. Infine che è necessario cambiare stili di vita: oggi i consumatori hanno un potere molto forte per correggere le distorsioni del consumismo, possono diventare protagonisti imparando a votare anche col portafoglio.