Varsavia. È beato Il cardinale Wyszynski, padre della Polonia e argine dei totalitarism
Giovanni Paolo II con il cardinale Stefan Wyszynski
Hanno testimoniato che a Dio nulla è impossibile. Riapre una pagina vertiginosa del ’900 la beatificazione, domani a mezzogiorno a Varsavia, del cardinale Stefan Wyszynski e di madre Elzbieta Róza Czacka, fondatrice della Congregazione delle Suore Francescane Ancelle della Croce. Una pagina che, per quanto Wyszynski, almeno dai cattolici dell’Ovest è nota per lo più attraverso papa Wojtyla, di cui fu mentore e maestro spirituale. Ma «oggi Wyszynski è modello di fede senza limiti – spiega padre Zdzislaw Kijas, postulatore nel processo di beatificazione – Potrebbe diventare patrono di chi vive situazioni difficili, insegnandoci che Dio è più grande di ogni agire umano e guida la storia». Il Covid obbligherà a presenze limitate alla Messa presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, con la partecipazione dell’episcopato polacco. I fedeli sono stati invitati «all’unione spirituale». Sarà presente anche la polacca suor Nulla, guarita per intercessione Wyszynski da un cancro in fase terminale alla tiroide.
Nato nel 1901 nella Polonia rurale, a Zuzela, in una casa di legno di due stanze (oggi un museo) tra povertà e devozione alla Madonna nera di Jasna Gora e a quella di Ostra Brama, Wyszynski prima dei 10 anni perde tre fratelli e la madre trentatreenne, che gli aveva indicato il sacerdozio. Entra in Seminario a 19, sopravvive due volte alla tisi. A Jasna Gora celebra la prima Messa. Nel 1939 l’annientamento della Polonia deciso dal Reich passa dallo sradicamento della Chiesa. Il gracile don Stefan entra in clandestinità: fa da cappellano agli insorti, nome in codice “suor Cecilia”. Ricercato dalla Gestapo, non si contano i suoi atti di carità eroica verso ebrei, combattenti feriti o moribondi, anche durante la rivolta di Varsavia. È uno dei “padri” riconosciuti della Chiesa sopravvissuta e nel 1946 Pio XII lo nomina vescovo di Lublino.
Il suo motto episcopale Solo Deo «lo scelse contro la blasfemia del “Gott mit uns” nazista ed era un’offerta della sua vita al Signore – spiega padre Kijas – poi aggiunse per Mariam, indicando in umiltà e obbedienza della Vergine la strada per conformarsi a Cristo». Dal 1948 guida la diocesi di Var- savia. Per 33 anni sarà primate della Polonia, entrata dopo Yalta nell’orbita dell’Urss. Nell’età di Stalin, fino al 1956, anche la sulla Vistola la Chiesa vive una dura persecuzione. Per tre anni (1953-56) Wyszynski è agli arresti. Intuisce che la resistenza stavolta sarà di lungo periodo: «Dopo aver dimostrato durante la guerra di essere capaci di morire, l’ideale ora è vivere per la Chiesa e per la Polonia».
Il Paese con lui difenderà la sua anima, ma anche i diritti della società civile calpestati dalla dittatura comunista di Bierut, poi Gomulka (che lo considera «il vero interlocutore sociale del Paese») e Gierek. Prega per i suoi persecutori e colpisce la sua analisi fin dal 1953: «Il destino del comunismo non si deciderà in Russia ma in Polonia. Quando la Polonia diventerà salda nella fede sarà la fine del comunismo ». Conservatore sul piano dottrinale, sorprende per le aperture sociali verso le donne (con le responsabilità a Maria Okonska e al gruppo delle “Otto”) e gli operai, che farà parlare in chiesa, iniziativa allora rivoluzionaria. «Il suo paterno vivere per gli altri – “in ginocchio, come Cristo lavò i piedi agli apostoli” – lo costrinse ad essere politico e diplomatico, lasciando la sua spiritualità in ombra» spiega padre Kijas. Il regime gli vieta per decenni l’espatrio, a Roma va per lui il suo vescovo più fidato, Karol Wojtyla.
L’ondata di proteste per il carovita contro il governo Gierek a fine anni ’70 culmina nel ’78 con l’elezione di Giovanni Paolo II. Che sette giorni dopo gli scrive: «Non ci sarebbe sulla cattedra di Pietro questo Papa polacco, se non ci fosse la tua fede, che non ha mai indietreggiato di fronte al carcere e alla sofferenza; se non ci fosse Jasna Gora, unito al tuo ministero di vescovo e primate». Wyszynski muore per un cancro intestinale il 28 maggio 1981, pregando per Wojtyla che 15 giorni prima era sopravvissuto all’attentato di Alì Agca. «Alle Chiese europee, oggi ferite da scandali e crisi di fiducia tra i fedeli – conclude padre Kijas – il nuovo beato indica la strada del sacrificio e del servizio».