Chiesa

IL TESTIMONE. Lech Walesa: «Wojtyla, la forza della fede cambia la vita»

Francesco Dal Mas mercoledì 4 maggio 2011
«Papa Wojtyla ha saputo risvegliare il desiderio di desiderare. La fede, anzitutto. Anche in chi non ce l’ha o è alla ricerca». Lech Walesa, storico fondatore di Solidarnosc, presidente della Polonia dal 1990 al 1995, premio Nobel della pace 1983, non riesce a darsi altra spiegazione della folla oceanica che ha partecipato domenica alla beatificazione. A Pordenone ha presentato il suo ultimo libro, «Sulle ali della libertà. Fede e solidarietà: insieme fanno miracoli».La fede è stata la sua forza. E la fede, appunto, fonda anche la solidarietà.Per tutta la mia vita, come vado spesso dicendo, ho creduto in due cose. In Dio e in quello che facevo. Sicuramente non avrei potuto credere in ciò che facevo, se non avessi avuto la fede in Dio.Quando ha capito, durante gli anni di frequentazione del suo amico Karol, che si trovava davanti ad un futuro beato?Anzi, ad un futuro santo. Ad ogni successivo incontro con lui, si affermava in me la convinzione di trovarmi davanti a una persona totalmente coerente con la propria fede. Perfino dal punto di vista fisico papa Wojtyla reagiva in maniera differente. Ricordo un incontro, io e lui, nel 1987 a Danzica, in vescovado. Inciampò sul tappeto dello studiolo in cui ci trovavamo. Ebbi un attimo di paura, mi spaventai immaginando che finisse a terra. Cadde, in verità, ma si rialzò con tutta calma. Era di un vigore spirituale e fisico straordinario.Anche per questo è stato così amato, come hanno dimostrato le cerimonie dei giorni scorsi?In questo mondo dove mancano la speranza e la fiducia, è evidente che una persona vigorosa spiritualmente come Wojtyla sia riuscita ad offrire la sicurezza ricercata. I politici deludono, le persone si imbrogliano, Giovanni Paolo II era al di fuori di questo mondo. Non aveva nessun altro interesse che per la persona umana. E la gente questo l’ha capito.Quante volte ha avuto modo di incontrare Karol Wojtyla e quali consigli le ha dato?Non ho tenuto conto di questi incontri. Comunque posso confermare che in nessun caso mi ha dato consigli di ordine politico. Abbiamo, invece, sempre affrontato temi di carattere religioso. Entrambi sapevamo di dover rispettare il "mestiere" l’uno dell’altro. Il suo obiettivo era di risvegliare nelle persone il desiderio di desiderare. E quando i polacchi hanno accettato che in loro si risvegliasse questo desiderio, noi dell’opposizione in qualche modo li abbiamo indirizzati, cercando di migliorare la nostra vita. Chiedendo la verità, la libertà. Il Santo Padre li ha risvegliati affinché si comportassero con dignità.Giovanni Paolo II, quindi, non si è occupato direttamente della situazione politica del suo Paese, neppure ai tempi di Solidarnosc?No, ha indirizzato le persone, qui come in altri Paesi, a riprendersi in mano la propria vita. E questo ha fatto sì che noi, direttamente, abbiamo rigettato il comunismo sovietico che era menzognero e insopportabile. Noi non abbiamo mai combattuto il comunismo occidentale, perché era una dimensione più accettabile. Credo che oggi Giovanni Paolo II possa continuare ad instillare nuovi desideri.Quali?Il desiderio, anzittutto, di una nuova Europa, un’Europa buona per tutti. Questa non è l’Europa che si voleva né la globalizzazione che si prospettava. E in questi giorni si è pregato perché papa Wojtyla ci aiuti un’altra volta, a mettere in ordine l’Europa, anche l’Africa.Lei è stato in Tunisia, quali consigli ha dato sulla base della sua esperienza?Ho consigliato di cambiare atteggiamento. Di non togliere con la violenza la ricchezza a nessuno, ma - ad esempio - di promuovere un fondo. Un fondo che io chiamo di salvezza, in cui convogliare le risorse anzitutto per garantire lavoro ai giovani.Gli immigrati dal Nord Africa sono un problema solo italiano?No, europeo. Ma l’Unione Europea, purtroppo, continua a proporre soluzioni obsolete, che andavano bene in un’altra epoca. L’Europa è da rifondare. Anzitutto nella solidarietà.