L’intervista. I vescovi del Veneto dal Papa. Moraglia: invitati all’audacia
Roma, giovedì 8 febbraio: papa Francesco riceve i vescovi del Triveneto in visita “ad limina”
Dopo quelli del Piemonte e della Lombardia anche i vescovi della regione ecclesiastica del Triveneto (che comprende Veneto, Trentino Alto-Adige e Friuli-Venezia Giulia) hanno compiuto la visita ad limina. La settimana scorsa i quindici presuli che la compongono hanno avuto gli incontri con i Dicasteri della Curia romana, con la Segreteria del Sinodo, con la Segreteria di Stato. Momento culminante l’udienza con papa Francesco che si è svolta giovedì 8 febbraio. Avvenire ha chiesto al patriarca di Venezia Francesco Moraglia, presidente della Conferenza episcopale triveneta, di raccontare questa visita “romana”. «Abbiamo vissuto una bella esperienza – racconta il pastore che dal 2012 guida la diocesi dei santi Pio X e Giovanni XXIII e del beato Giovanni Paolo I –. Ci sono stati momenti e spazi per incontrarci, per pregare e stare insieme, anche molto semplicemente. E ci sono state soprattutto tante occasioni per confrontarci con la Chiesa universale. Abbiamo portato la nostra esperienza pastorale, siamo rimasti confortati in questa esperienza e abbiamo anche ricevuto preziose indicazioni».
Il momento centrale della visita ad limina è stata l’udienza col Papa…
Sono state due ore di dialogo a 360 gradi, in un clima di grande simpatia e fraternità. Abbiamo sentito il Papa realmente vicino e gli abbiamo parlato a lungo delle nostre terre e delle nostre Chiese, delle sofferenze e difficoltà ma anche dei percorsi e progetti che portiamo avanti, talvolta con fatica ma sempre con entusiasmo. Siamo rimasti colpiti perché il Papa ci conosce davvero e questo ci ha confortati. Abbiamo potuto trascorrere con lui un paio d’ore che rimangono scolpite in noi e anche nella vita pastorale delle nostre Chiese come qualcosa che le segnerà per il futuro; una bella premessa per ritornare nelle nostre terre al termine di questa visita ad limina che ci ha regalato come perla preziosa proprio l’incontro con papa Francesco.
Quali sono le preoccupazioni che avete manifestato al Papa?
Una volta il Veneto veniva definita la sacrestia d’Italia. Ora il processo di secolarizzazione è avanzato prepotentemente anche da noi e forse, addirittura, più che altrove. Questo si constata ad esempio nella forte contrazione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, sia maschile che femminile. Anche nel mondo del volontariato, uno dei nostri fiori all’occhiello, l’età media degli aderenti è in continua ascesa e il ricambio non è scontato e, talvolta, faticoso. Questa situazione, comunque, non ci scoraggia ma ci invita ad essere più coraggiosi nell’annuncio del Vangelo. Il Papa ci ha spronati e lo ha fatto, come hanno sottolineato altri miei confratelli, invitandoci all’audacia. Ma sempre con prudenza e discernimento, per evitare di fare proposte avventate.
Lei ha partecipato anche alla precedente visita ad limina. Ha notato differenze rispetto ad allora?
Era l’aprile 2013. Papa Francesco ci ricevette subito dopo la sua elezione. In due turni, quella volta. Ora tutti insieme. Complessivamente devo dire che i vari incontri di questi giorni hanno avuto un clima più informale. Anche altri confratelli vescovi, che avevano vissuto la visita precedente, hanno sottolineato il confronto aperto e spontaneo che ha caratterizzato molte riunioni avute con i differenti dicasteri. Siamo venuti a portare la nostra esperienza pastorale, chiedendo di essere sostenuti e di ricevere anche delle indicazioni; è stata, insomma, un’occasione di arricchimento reciproco. È stato prezioso e apprezzato anche questo tempo prolungato vissuto insieme tra noi vescovi di 15 Chiese sorelle, in comunione e fraternità crescenti.
Nelle ultime settimane è stato vivace il dibattito suscitato dal documento Fiducia supplicans…
Nel corso della visita sono stati affrontati vari temi ma, a dire il vero, non abbiamo avuto occasione di soffermarci in particolare su questo. Sono stati tenuti presenti tutti i recenti documenti del magistero, compreso Fiducia supplicans, che – come sottolineato più volte dal Papa – non intende cambiare la dottrina cattolica.
Durante la visita si è parlato anche del Messale in friulano?
Nell’incontro con il Dicastero per il culto divino abbiamo manifestato il dispiacere per la mancata approvazione da parte dell’Assemblea della Cei del Messale in friulano. Non si è raggiunta la maggioranza qualificata richiesta, non essendo sufficiente quella semplice che pure era stata ampiamente superata. Abbiamo spiegato che è una questione importante per le nostre terre dove storicamente vivono minoranze impregnate di una forte identità culturale e penso, oltre a quella di lingua friulana, anche alle comunità tedesche, slovene e ladine. Nonostante questa battuta di arresto, rimaniamo tuttavia fiduciosi e auspichiamo che il Messale in friulano alla fine possa andare in porto. Ci incoraggia quanto affermato più volte da papa Francesco: la fede si trasmette in dialetto, con il linguaggio delle mamme. È questo un importante spiraglio per il futuro.
La visita ad limina è stata segnata anche da momenti di preghiera…
Sì, abbiamo avuto la gioia di celebrare presso le tombe degli apostoli Pietro e Paolo. E come ho detto nella celebrazione che ho presieduto a San Paolo, l’Apostolo delle genti – nella sua vicenda storica – ci dice che il dono della fede è l’inizio della relazione personale con Dio ma, poi, c’è anche la responsabilità personale della fede e dell’annuncio. Credere significa tenere unite la dimensione personale (io credo) e quella ecclesiale (noi crediamo); non basta però approfondire e condividere la fede in Gesù ma – come dice l’Apostolo nella lettera ai Filippesi – bisogna sapere “soffrire per Lui”. Per noi vescovi, inoltre, la fede significa aver cura, con amore e volentieri, della porzione del gregge di Dio che ci è affidata.
Nella visita ad limina per le Chiese coinvolte è come un ritorno alle sorgenti e alla fonte prima dell’essere Chiesa?
San Paolo attesta che la fede è, insieme, incontro personale ed ecclesiale con il Signore; solo vivendo queste due dimensioni noi viviamo la fede secondo Gesù. Il credente non è mai un battitore libero, il credente vive e crede con gli altri, per gli altri e grazie agli altri perché quella fede l’ha ricevuta. Come operai della vigna del Signore sentiamo la gioia di essere Chiesa che è, prima di tutto, un dono e poi si lega al nostro impegno e alla nostra responsabilità ma, soprattutto, nasce dal sentirci tralci dell’unica vite che è Gesù; la Chiesa è rendere visibile nella storia la sua vita e la sua verità. Questa visita ad limina ci rafforza nell’impegno di testimoniare Gesù e il suo Vangelo, anche in contesti non favorevoli. Ogni giorno nelle nostre comunità, piccole o grandi, c’è il comune impegno a costruire una Chiesa pasquale, ministeriale, missionaria. Una Chiesa che ci insegna ed educa al servizio, alla comunione effettiva ed affettiva, alla testimonianza franca e alla missione. Ogni suggestione che abbiamo potuto cogliere in questa visita ad limina la deponiamo ora nelle mani di Colei che la pietà popolare della nostra gente da sempre invoca, sotto differenti titoli, come Madre.