Chiesa

Vangelo vivo. «Vieni, seguimi»: da Samuele al giovane ricco

Antonio Pitta mercoledì 21 giugno 2017

Gesù e il giovane ricco, Johann Michael Ferdinand Heinrich Hofmann, 1889


Quello che segue è il testo della riflessione di don Antonio Pitta, studioso del Nuovo Testamento e autore di suggestivi commenti al Vangelo, al convegno dei cappellani militari ad Assisi, dedicato al tema dei giovani e del Sinodo 2018 che gli sarà dedicato.

Per Ippocrate la vita umana è scandita da sette fasi: bambino, fanciullo, adolescente, giovane, maturo, anziano e vecchio. Lo ricorda anche Filone Alessandrino che in «La creazione del mondo» delimita il periodo giovanile tra i 21 e i 28 anni. Nel nostro tempo queste fasi sono viste in modo meno settoriale, con prolungamenti tra l'adolescenza e la giovinezza e forme di giovanilismo o di Peter-panismo che colpiscono maturi e anziani.
Come una barca in mare agitato è la relazione tra i giovani e il discepolato: tra l'entusiasmo iniziale e la resa. Mentre Samuele è chiamato sin da ragazzo, e per tutta la vita «non ha lasciato cadere a vuoto alcuna Parola del Signore» (1Re 3,1-21), Geremia confessa d'essere giovane e di non saper parlare (Ger 1,6).
Entusiasmante è la scelta di Gesù per i primi discepoli, all'inizio del suo ministero: li vede, li chiama, lasciano tutto e lo seguono (Mc 1,16-20). L'epilogo della loro sequela è fallimentare: per Marco ai piedi della croce non rimane un solo discepolo. Ma dopo gli eventi burrascosi della passione, gli stessi discepoli sono chiamati di nuovo per seguire il Risorto. Fra queste fasi della vita pubblica di Gesù e del tempo della Chiesa si delineano diversi tipi di sequela: il giovane ricco, quello della passione, Timoteo e Petro.

Fissatolo, lo amò


Di sua iniziativa, il giovane ricco s'avvicina a Gesù e gli chiede che cosa gli resti da fare per ereditare la vita eterna. Inizia così un intenso dialogo sulla pratica dei comandamenti che garantiscono sulla vita eterna. Eppure al giovane, che sembra avere tutto, manca qualcosa (Mt 19,20). A quel punto sopraggiunge la svolta: «E Gesù guardandolo dentro (emblepsas) l'amò e gli disse...». Il verbo "emblepsas" (Mc 10,21) segnala non la naturale condizione di chi fissa l'altro ma la capacità di guardargli dentro. Commenta bene Oscar Wilde: «Nel consigliare al giovane ricco di vendere tutto ciò che possiede e darlo ai poveri non è alla condizione dei poveri che pensa bensì all'anima del giovane, quell'anima che le ricchezze stanno contaminando» («De profundis», 83).
Il passaggio dallo sguardo interiore all'amore è repentino: «Lo amò». Soltanto in due occasioni si dice nei Vangeli che Gesù «amò»: per il giovane ricco e per i suoi che sono nel mondo, all'inizio della passione (Gv 13,1). Gesù ha amato i discepoli non a parole ma sino alla morte di croce, perché non c'è amore più grande di chi dona la vita per i propri amici (Gv 15,13).

Nell'Orto degli ulivi

La vicenda del giovane ricco rinvia a quella del giovane anonimo che segue Gesù durante la passione. Nel fuggifuggi generale per l'arresto di Gesù, anche il giovane sta per essere catturato ma riesce a scappare via nudo poiché ha addosso soltanto un lenzuolo (Mc 14,50-51). S'è tentato in mille modi d'identificare il giovane che fugge, ma senza risultati. A Marco interessa la sequela e la fuga, non il nome del giovane; e di fronte al pericolo, il giovane fugge come tutti i discepoli che hanno seguito il Maestro.
In contrasto con il giovane ricco e quello della passione, s'erge Timoteo, il giovane discepolo di Paolo: «Nessuno disprezzi la sua giovane età e sia esemplare nella condotta, la carità, la fede e la purezza» (1Tm 4,12). Timoteo è il giovane ideale che ha seguito Paolo durante i viaggi missionari e non l'ha mai abbandonato. L'ha seguito nell'insegnamento e nel modo di vivere; continua a seguirlo nella prova, restando ancorato alla Parola di Dio che forma l'uomo di Dio (2Tm 3,16). Timoteo imita Paolo come un figlio con suo padre (Fil 2,20), perché l'imitazione non nasce dall'autorità ma dalla familiarità tra persone che si appartengono. Nel nostro tempo abbiamo liquidato qualsiasi tipo d'imitazione, colpiti dall'ansia di essere unici a tutti i costi. Tranne poi rendersi conto che, come già rilevava Aristotele (Poetica 4), l'imitazione fa parte della natura umana e, che si voglia o meno, la pervade. Per questo il contrario dell'imitazione positiva, come quella di Timoteo, non è l'originalità stravagante del giovane, ma la scelta di esempi negativi che inducono a compiere azioni impensabili per l'incolumità propria e degli altri. Raccomandava bene Seneca al giovane Lucilio: «Scegli uno di cui ti sono piaciuti la vita e le parole... additalo sempre a te stesso come tuo custode o come esempio» (Lettere a Lucilio 11,10).

Seguimi


Torniamo all'incontro dopo la risurrezione tra Gesù e Pietro: l'amore è la condizione ultima per pascere il gregge: «Simone di Giovanni, ami me più di quanto tu ami gli altri?» (Gv 21,15). Il Risorto non chiede a Pietro se lo ama più di quanto lo amano gli altri discepoli: sarebbe ridicolo confrontare le modalità con cui ognuno ama l'altro perché ognuno gli si relaziona in modo diverso. Piuttosto gli è chiesto se Pietro ama più il Risorto o le persone e la barca che aveva lasciato prima di seguirlo. Finalmente Pietro risponde con rinnovato entusiasmo: «Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti amo» (Gv 21,17). Allora il Risorto gli ricorda la situazione del giovane che può vestirsi da solo e andare dove vuole. Quando poi si diventa vecchi si è vestiti da altri e si è condotti dove non si vorrebbe (Gv 21,18). Il dialogo si chiude con la perentoria richiesta del Risorto: «Seguimi» (Gv 21,19.22). Seguire Gesù nella vita pubblica è andargli dietro; nel tempo della Chiesa è imitarlo con originalità, sino al dono di sé.

Fino a dove?

Per tutti i discepoli, prima e dopo la risurrezione, cambiano le modalità della sequela, ma tutte sono accomunate dal servizio. Per questo, mentre i discepoli discutono su chi sia il migliore, il Maestro raccomanda che il più grande sia come il più giovane e chi comanda come chi serve (Lc 22,26). Tutti s'invecchia: appartiene all'anagrafe, e non è una virtù! Ma si è già vecchi quando si è guidati dall'inarrestabile sete di gloria e di potere. Al contrario, quando si sceglie la via del servizio la propria giovinezza si rinnova: qui sta l'enorme differenza tra l'età anagrafica e quella della vita interiore.