Chiesa

INTERVISTA. Giudici: «Un richiamo forte per tutti Scomodiamoci per la pace»

Paolo Lambruschi venerdì 6 settembre 2013
Preghiera e digiuno per rilanciare la forza della pace, messaggio centrale per la Chiesa. Usa toni pacati e fermi - come sua consuetudine - il vescovo di Pavia Giovanni Giudici, presidente di Pax Christi, e ricorda che domani sarà una giornata da ricordare per i cristiani e le persone di buona volontà.Quale valore ha il digiuno per la pace?Il digiuno è un invito esplicito fattoci dal Signore e questo è già un punto di riferimento. Ricordo poi l’aspetto antropologico, mettere in luce l’attenzione di una persona a un’idealità, a un impegno o a un incontro possibile. Il digiuno deve infine diventare l’occasione di donare agli altri un bene che sottraggo alla mia disponibilitàPapa Francesco ha lanciato un appello molto forte che ha avuto grande eco in tutto il pianeta. Che esito avrà?Anzitutto è importante richiamare l’immagine che il Santo Padre ha dato, attraverso l’appassionata dichiarazione a favore della pace, di tutta quanta la comunità cristiana. La quale proprio dal Signore è stata radunata attorno a questo tema nel giorno della Risurrezione. Quindi il richiamo di Francesco è molto chiaro, netto, forte e rappresenta ciò che è veramente centrale nella Chiesa. Dice che di fronte alla pace ciascuno deve scomodare se stesso perché la pace è il frutto del cuore di molte persone e delle decisioni di tutti coloro che appartengono a una società. Il digiuno aiuta questo atteggiamento di comune presa di coscienza.Erano almeno 10 anni che il movimento per la pace non aveva una simile capacità di mobilitazione delle coscienze.Non sbaglia. La violenza si è talmente frammentata che non era più possibile individuare dove si giocasse l’eterna partita tra pace e guerra. Inoltre, dentro la questione della contrapposizione violenta si mischiavano elementi pseudoreligiosi e culturali. Addirittura sono stati tirati in ballo i confronti di civiltà. Davanti a questa materia magmatica, se possiamo dire così, la gente rimaneva perplessa e incapace di trarre una conclusione.Cosa è cambiato con la guerra in Siria?Questa circostanza drammatica ci aiuta dire che c’è un no su cui essere fermi. C’è un cammino dell’umanità, come ci ricordava la Pacem in terris che va verso una presa di coscienza della necessità di pace. Nello specifico del conflitto siriano quali sono le alternative possibili alla guerra?Il punto di svolta ci sarebbe se tutte le nazioni industriali del pianeta, produttrici delle armi presenti sul teatro di guerra, si mettessero d’accordo per fermare il traffico e la vendita degli armamenti. È chiaro che nel giro di non tanti giorni l’esaurimento delle scorte farebbe mutare l’atteggiamento dei belligeranti. Sarebbe, dal punto di vista culturale e politico, un grande passo avanti. Dobbiamo premere sull’opinione pubblica perché ciò avvenga. Che ruolo sta giocando la politica?È interessante vedere che quando la decisione di dichiarare o partecipare alla guerra passa in Parlamento è più difficile la decisione e questo è un segno positivo. Non di viltà, ma di civiltà.Resta il problema di come punire chi ha commesso crimini contro l’umanità.Anche nella vita civile sappiamo che il ladro ha la strada più facile di colui che difende un bene. Dobbiamo ottenere più velocità dalle istituzioni internazionali per capire cosa è effettivamente capitato in Siria e portare in fretta davanti a un tribunale internazionale chi si macchia di crimini contro l’umanità. Per la guerra in Croazia dopo 20 anni ancora non è giunto a conclusione il processo contro alcuni criminali. Il tema della pace, fondato sui diritti, non ottiene la necessaria rapidità d’intervento che invece la vendetta immediata purtroppo ottiene.Questa giornata voluta dal Papa sarà un momento di svolta per chi crede nella giustizia e ripudia la guerra?Si, perché mostra con più evidenza di molti eventi precedenti che sono in gioco tante cose che sarebbero compromesse dalla guerra. Mentre non le compromette la ricerca sincera della giustizia nella pace.