Te Deum. I vescovi italiani: solidarietà e speranza le bussole per ripartire nel 2021
È un invito alla speranza e a non «lasciarsi vincere dallo scoramento» quello che giunge dai vescovi italiani nelle celebrazioni del Te Deum che hanno chiuso il 2020 e del primo giorno del nuovo anno.
Bassetti: più vicini a Dio e agli altri. Ecco la lezione della pandemia
Definisce il 2020 un «anno travagliato» in cui si è toccato con mano «la nostra fragilità» e «la paura: paura dei contagi, paura della malattia, paura della morte». Eppure il cardinale Gualtiero Bassetti tiene a sottolineare che questo tempo complesso «non sarà trascorso del tutto invano se ci saremo riavvicinati di più a Dio e se avremo cercato con maggior impegno di aiutare il nostro prossimo con gesti di solidarietà». Il presidente della Cei presiede il Te Deum nella Cattedrale di Perugia: è la sua seconda Messa “pubblica” dopo la malattia causata dal coronavirus che lo ha tenuto quasi due mesi lontano dalla sua gente. Cita l’«angoscia» che il Covid sta alimentando e ricorda due immagini dell’anno appena terminato: le «bare allineate e caricate sui camion militari per essere portate al cimitero» e «papa Francesco in preghiera in piazza San Pietro totalmente vuota» dove «tutti eravamo spiritualmente presenti a soffrire e pregare con lui». Poi Bassetti rivela: «Tanto è il dolore di questi mesi che a fatica le nostre labbra si aprono per cantare il Te Deum; ma dobbiamo trovare la forza per andare avanti e non perdere la speranza». Quindi il richiamo: «Con l’amore a Dio e al prossimo riusciremo a superare un frangente così calamitoso per dar vita a una Chiesa e a una società migliori».
Russotto: compassione con l’umanità sofferente
«Abbiamo sentito il vento della malattia sfiorare la nostra pelle, e se oggi siamo qui a lodare il Signore per il dono di Maria è perché siamo chiamati a un’assunzione maggiore di responsabilità credente». Così ha detto il vescovo di Caltanissetta Mario Russotto nell’omelia della Messa celebrata ieri mattina in Cattedrale. «Su ciascuno di noi incombe il compito di dare carne e volto a Cristo nella storia – ha detto ancora il presule – ciascuno di noi, in virtù di quella prima maternità di Maria, è chiamato a dare nuova maternità a Dio nella storia, nell’esercizio di una carità senza confini e senza condizioni, all’insegna di una com-passione con l’umanità sofferente, povera, emarginata, all’insegna della solidarietà con quanti continuano a vivere situazioni esistenziali, familiari, economiche, dense di profondo disagio. Con Maria troviamo la forza di sperare e di impegnarci ad amare come Lei ha amato».
Zuppi: l’isolamento non si trasformi mai e per nessuno in solitudine
«Stasera non posso essere presente. Sono positivo al Covid. Sono isolato». Ha cominciato con la sua situazione personale il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, nel messaggio di fine anno che ha diffuso attraverso il sito dell’arcidiocesi non potendo presenziare al tradizionale Te Deum. Ma subito ha esteso la considerazione a ciò che tale situazione insegna a tutti. «Capisco quanto è importante che l’isolamento non si trasformi mai e per nessuno in solitudine e quanto sono importanti i legami di amicizia, il sentirsi parte di una comunità. La solitudine, proprio come il virus, spegne tutti i sensi della vita! Combattiamo la solitudine, con l’arma che Dio ci ha affidato: l’amore». Questo è anche, secondo il cardinale, l’insegnamento del 2020 appena terminato: «Le difficoltà vissute chiedono coscienza e determinazione perché non passino invano. Ci invitano a cambiare, per evitare il rischio di essere mediocri conservatori. La pandemia non si vince in un momento e chiede di amare per non farsi sorprendere dal male, per non illudersi e poi scivolare nella rassegnazione, perché ci si salva solo tutti insieme».
Crociata: per un nuovo inizio serve uno scatto morale
«Gesù nato per noi e la sua madre Maria, che oggi veneriamo in modo particolare per la sua divina maternità, vegliano su di noi e ci guidano. È questa la sostanza della benedizione che inaugura il nuovo anno e che la pagina di Numeri ci ripropone: “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”». Lo ha detto Mariano Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, nella Messa di ieri mattina nella Cattedrale di Latina. «Un vero nuovo inizio ha come condizione uno scatto morale, di tutti e di ciascuno, ad attraversare e superare insieme la crisi – ha aggiunto Crociata – se abbiamo un minimo di coscienza della gravità del passaggio epocale che stiamo vivendo, allora dobbiamo volere ciò che è necessario. In questo troviamo la sostanza del nostro essere cristiani: decidere e farci carico, come ha fatto Gesù e come egli stesso ce ne dà la possibilità con la sua costante presenza, riconosciuta con fede e speranza in un amore responsabile e operoso».
Delpini: il principio della pace è nella comunione con il Signore
«Ciascuno a casa sua, estraniarsi, stare distanti, non immischiarsi nella vita altrui?» No, non è così che si costruisce la pace, come credono alcuni. «L’indifferenza trasforma il mondo in una gelida solitudine, lascia che i prepotenti saccheggino le risorse dei poveri e condanna i poveri alla disperazione». Sta altrove, invece, «il principio della pace»: sta nella «comunione con Dio», sta nell’apertura all’azione dello Spirito che «rende partecipi dei sentimenti di Gesù e suggerisce i percorsi per incontrare le persone e per prendersene cura», e trasformare «l’umanità in una fraternità». Lo ha detto l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, presiedendo ieri alle 17.30 in Duomo la Messa per la Pace alla quale hanno partecipato i membri del Consiglio delle Chiese cristiane. «Dal cuore nascono i sentieri della pace», dell’impegno per i poveri, della custodia del creato, della cultura della cura, ha aggiunto il presule, attingendo al messaggio di papa Francesco per la Giornata della pace e additando Maria, colei che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore», quale modello per ogni credente che vuole seguire la via feconda della «pace coltivata nella contemplazione».
Crepaldi: dobbiamo adottare una «grammatica» della cura
La Giornata della Pace vissuta, a Trieste, pregando e solidarizzando per il popolo croato colpito dal terremoto. «Il Papa ci invita ad adottare una “grammatica” della cura, che consiste nella promozione della dignità di ogni persona umana, nella solidarietà con i poveri e gli indifesi, nella sollecitudine per il bene comune, nella salvaguardia del creato – ha ricordato l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste – in un tempo nel quale la barca dell’umanità, scossa dalla tempesta della crisi, procede faticosamente in cerca di un orizzonte più calmo e sereno, l’adozione di questa indispensabile grammatica ci permetterà di navigare con una rotta sicura e comune». Crepaldi ha invitato a far proprio l’appello di Francesco destinando le offerte raccolte nelle Messe di tutta la diocesi ai fratelli e alle sorelle croati duramente colpiti da una serie disastrosa di terremoti. In questo contesto il vescovo ha ricordato l’istituzione del Fondo per aiutare le famiglie, dedicato alla memoria del predecessore, il vescovo Eugenio Ravignani.
Petrocchi: dobbiamo alimentare la virtù cristiana della speranza
«Nel nuovo anno, insieme dobbiamo alimentare la virtù cristiana e sociale della speranza, che ci rende certi che la perseveranza nella dedizione evangelica ha sempre l’ultima parola». Lo ha detto giovedì sera l’arcivescovo dell’Aquila, il cardinale Giuseppe Petrocchi, celebrando la Messa nella chiesa di San Silvestro nel centro cittadino. «Stasera innalziamo una preghiera speciale per tutti coloro che soffrono a causa del coronavirus – ha continuato Petrocchi – perché sono stati infettati o perché hanno familiari contagiati. Affidiamo alla misericordia del Signore quanti hanno perso la vita». Il cardinale ha rinnovato «l’incoraggiamento e il sostegno della Chiesa per coloro che si battono con dedizione per sconfiggere questa calamità non solo clinica ma anche sociale».
Boccardo: il coraggio credente non viene dalla paura
«Il coraggio credente non viene dalla paura, ma da quella fiducia che consente di guardare al futuro non pretendendo che “tutto andrà bene”, ma sapendo con assoluta certezza che Dio sarà al mio fianco, che non mi lascerà solo, nemmeno se sarò isolato o intubato in una stanza d’ospedale, e mi darà in ogni caso la forza di vivere i miei giorni riempiendoli di luce. Perché Dio è fedele, amico affidabile, mani sicure, garanzia di un amore più forte della morte. E mi posso fidare di lui!». Così ha detto l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, Renato Boccardo, nell’omelia della Messa celebrata ieri mattina nel Duomo di Spoleto. «Chi si dona e lo fa in modo molto concreto in famiglia, nella società civile ed ecclesiale, nel servizio disinteressato e nell’assistenza gratuita ai più deboli – ha detto ancora il presule – “deve” morire ogni giorno a se stesso, perché l’amore ha una struttura pasquale».
Sepe: al buio della notte succede la luce dell’alba
Affida la città e l’arcidiocesi a «Cristo che ci permetterà di costruire la civiltà dell’amore e la vera fraternità umana», il cardinale Crescenzio Sepe, amministratore apostolico di Napoli, nell’anno che inizia. Durante la celebrazione in Duomo Sepe invita la comunità a «rivivere il senso profondo della famiglia», sottolineando che ogni anno «è un dono che ci è stato fatto». Pertanto, anche l’anno appena trascorso è un invito «a riflettere per convincerci della fragilità della persona umana e della sua impotenza di fronte ad eventi gravi e imprevedibili». «Al buio della notte succede sempre e comunque la luce gioiosa dell’alba – sottolinea Sepe – e all’uscita del tunnel veniamo accolti e piacevolmente abbagliati dal chiarore del giorno». Perciò «facciamoci accompagnare e guidare da Cristo, così la speranza non sarà cosa astratta, ma la ragione del nostro agire con concretezza e giustizia». «Il nuovo anno – conclude il porporato – sarà diverso e migliore solo se diversi e migliori sapremo essere anche noi».
Nosiglia: il lavoro è garanzia di indipendenza e cittadinanza piena
I temi del messaggio del Papa per la Giornata della pace sono stati ripresi a Susa dall’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia – attualmente anche amministratore apostolico di Susa – che lì ha presieduto la Messa di ieri. A Torino invece, nel Te Deum al Santuario della Consolata, Nosiglia si è soffermato sui temi legati alla pandemia. «C’è un rischio – ha detto – che dobbiamo assolutamente evitare: quello dell’assistenzialismo, del distribuire aiuti fin che ce ne sono, senza un progetto. Dietro questo atteggiamento si potrebbe nascondere infatti un’idea pericolosa e ingiusta: che sia più semplice e meno costoso mantenere persone e famiglie con i sussidi, piuttosto che impegnarsi a creare progetti e condizioni per una autentica promozione delle persone. Il lavoro è garanzia di indipendenza economica dunque di cittadinanza piena». Forse saremo più poveri, ha detto ancora Nosiglia, certamente dobbiamo diventare più solidali. A Torino questo significa anche saper combattere il declino del territorio valorizzando le «virtù ordinarie», facendo funzionare al meglio strutture e servizi, puntando molto sulla formazione delle persone, l’aggiornamento, la qualità dell’educazione.
Tasca: Chiesa e città siano sempre più accanto agli ultimi
Da Genova, durante il Te Deum, l’arcivescovo Marco Tasca ha rivolto il proprio appello «alla Chiesa e alla Città» perché siano «sempre più vicine a chiunque si trovi nella tribolazione». «Il Natale che abbiamo appena celebrato – ha detto sempre Tasca – ci aiuti ad inoltrarci nel nuovo anno con la consapevolezza che il Signore non ci abbandona». «Le visite nelle parrocchie e nei quartieri genovesi, insieme a rapporti con gli imprenditori e le maestranze del mondo del lavoro – ha spiegato l’arcivescovo – mi hanno fatto toccare con mano quanto dolore e quanti problemi economici sta ancora procurando la pandemia da coronavirus: migliaia in Liguria i contagiati, tanti i deceduti, pesantissimi i problemi per l’economia, le perdite di posti di lavoro». Però «la campagna vaccinale fa sperare in una non più lontana vittoria della vita sulla tragedia». Tasca ha ricordato l’impegno della Chiesa genovese per i più poveri, anche durante il lockdown, e poi l’inaugurazione del nuovo Ponte Genova San Giorgio «esempio di efficienza e collaborazione guardate con ammirazione da tutto il mondo».
Betori: una rinascita che va pensata come progetto comune
«Di una nuova nascita abbiamo bisogno, e non semplicemente di una riedizione sbiadita del passato». È questa la riflessione proposta dal cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, durante il Te Deum di fine anno nella cattedrale di Santa Maria del Fiore. Parlando della pandemia, Betori ha affermato che «le radici vanno cercate nello squilibrio che si è introdotto nel rapporto dell’uomo con il creato». Per questo, ha proseguito, «diventa sempre più urgente promuovere il rispetto verso il mondo che ci circonda, lasciando da parte gli atteggiamenti predatori, favorendo invece comportamenti responsabili, come quelli indicati da papa Francesco nell’enciclica Laudato si’». La strada, secondo Betori, è quella «indicata e aperta da Gesù, in cui decisivo è il dono di sé», perché «ciascuno di noi ha un contributo da offrire alla rinascita». Così come «rinacquero le nostre città dalle grandi epidemie del passato, che ne segnarono profondamente il volto ma fecero anche scaturire energie nuove che fecero la grandezza della nostra storia. Una rinascita che va pensata come un progetto comune, che tenga insieme con vincoli di fraternità tutti, in specie i più deboli».
Perego: come san Francesco, liberarsi dal desiderio di dominare
«La benedizione di Dio porta la pace: un dono che dal 1968, per volontà di san Paolo VI, chiediamo al Signore all’inizio di ogni nuovo anno» ha ricordato nella sua omelia di ieri l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio Gian Carlo Perego, «la pace che il Signore dona, in questo particolare momento storico assume i caratteri della serenità, di fronte alla paura di una pandemia che ci ha travolto; della condivisione, nel tempo di una povertà diffusa; del perdono, nelle nostre famiglie e nelle relazioni; della cura per le persone malate e fragili; dell’amicizia sociale e della fraternità, come ci ha ricordato papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti. Nella nuova enciclica del Papa ci sono quasi 100 riferimenti alla pace, uno dei doni e dei nomi di Dio. La pace è un dono che impariamo da san Francesco, l’ispiratore dell’enciclica del Papa, che “si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti”».
(Hanno collaborato: L. Rosoli, A. Torti, R. Bigi, R. Borzillo, F. Dal Mas, C. Unguendoli, M. Bonatti, F. Falci, C. Tracanna)