«È auspicabile che attorno al Sinodo ordinario sulla famiglia si riaccenda un interesse vivo ed anche “realistico”, specialmente da parte delle famiglie e delle comunità cristiane. Credo che resteranno delusi quanti vogliono vedere effetti clamorosi legati a quella modalità semplicistica di ritenere il Sinodo una sorta di referendum su questioni delicate e di grande impatto mediatico». Lo spiega il vescovo di Parma, Enrico Solmi, esperto di pastorale familiare, che nell’ultimo quinquennio è stato tra l’altro presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita. Ha già preso parte al Sinodo straordinario del 2014 e, in questi giorni, si prepara al raddoppio.
Una speranza e una preoccupazione?Personalmente spero che il Sinodo ricollochi la famiglia all’intero della Chiesa come suo dono proprio, dando alla Chiesa stessa una più vera percezione di sé. Dandole cioè la coscienza che è fatta di famiglie e che la famiglia è essenziale all’annuncio del vangelo oggi. Un’acquisizione, questa, che sarebbe veramente innovativa. Ancor oggi, infatti, la famiglia è considerata un problema, anche nella e per la Chiesa, mentre è un dono, una risorsa unica e indispensabile. Un simile percorso chiede una conversione pastorale e si articola in una serie di scelte concrete e verificabili. Penso allo sguardo benevolo a tutte le situazioni familiari, all’essere grati a Dio di potere camminare insieme a tutte, anche a quelle più difficili; penso ad una comunità cristiana che accetta finalmente i tempi e i modi della famiglia; penso ad una formazione comune e sinergica di preti, di persone religiose e di famiglie per la nuova evangelizzazione.
Convivenze, corretto mostrare “apprezzamento e amicizia”, riconoscendo “elementi di coerenza con il disegno creaturale di Dio”?Molte sono oggi le persone che convivono e molte, se così si può dire, sono le tipologie delle convivenze, con motivazioni diverse e con esiti differenti. Certamente in esse, facendo un discorso generale, troviamo elementi positivi che hanno bisogno di essere armonizzati in un progetto globale, che ancora non raggiunge la completezza e che pertanto può maturare. Penso, ad esempio, al carattere sociale del matrimonio che sfugge sovente a chi convive, cioè come il matrimonio e la famiglia siano intrinsecamente chiamati a formare e a fare crescere la società, oltre che la Chiesa, ed anche al divenire della persona, che è sempre in divenire e che pertanto non può essere semplicemente “provata” tramite la convivenza. Penso anche al carattere dell’amore che ha in sé la realtà e la dinamica del “per sempre”, e che è destinato a lievitare, a non essere semplicemente succube del desiderio del momento.
Quale atteggiamento per accompagnare queste persone a mettere a fuoco un profilo alto della propria vita di coppia?Un simile ampio fenomeno deve interrogare la Chiesa sull’annuncio del sacramento del matrimonio e sull’accompagnamento che prospetta verso tale meta. Forse anche noi abbiamo collaborato alla corrosione di quella porzione di “umano” che ha reso meno comprensibile il valore del patto coniugale e della sua portata ecclesiale e sociale. È urgente, pertanto, una pastorale che sappia accostarsi, ascoltare e accompagnare le persone che convivono, mostrando la bontà e la bellezza della vita matrimoniale, e sostenendole nell’acquisizione dei suoi caratteri fondamentali, aiutando anche a creare armonia vitale di elementi e caratteri considerati in modo frammentato da chi convive.
Preoccupa davvero, come dice l’Instrumentum laboris, “il dubbio insuperabile a riguardo della costanza dei propri sentimenti” in tanti giovani? La contrazione del numero dei matrimoni, la paura a sposarsi non sono nati in una notte come i funghi. Hanno alle spalle un processo lungo che progressivamente ha corroso alcuni caratteri fondanti la nostra umanità. La capacità di “stare in piedi da soli” come frutto di un iter educativo, la fiducia in sé e nel futuro, la mancata testimonianza di modelli familiari significativi, la continua e radicale critica all’istituto del matrimonio, possono essere alcuni di questi caratteri. Nonostante tutto questo, i giovani hanno ancora il desiderio di sposarsi e di mettere al mondo figli. Un dato che emerge da tante testimonianze e da seri studi. Dobbiamo guardare con occhio attento a questi fenomeni, spesso all’origine della disaffezione al matrimonio.
Una pastorale mirata di cosa dovrebbe preoccuparsi?Impegno doveroso verso i giovani, che cercano ancora esempi significative e parole che sappiano leggere e dare indirizzo a quanto forse confusamente sentono dentro di loro. Non deve però essere un procedere strabico, ma armonico nell’ottica di un impegno continuo nella Chiesa, anche riscoperto grazie a questo Sinodo che chiede con forza, direi, con imperio, che ci sia finalmente come consuetudine abituale la sinergia tra la pastorale giovanile e la pastorale familiare.
Un impegno nella prospettiva della misericordia o della verità. Ultimamente sembra che siano due “partiti” inconciliabili?Circa la misericordia paghiamo lo scotto di una percezione inquinata da paternalismo e da buonismo. Per molti la misericordia è esterna alla verità, la limita, se non addirittura vi si contrappone. Non è così, perché la misericordia è il volto di Dio che si rivela all’umanità. Non si può quindi disgiungere misericordia e verità, ma l’una è interna all’altra. L’incontro deve essere segnato dai caratteri della misericordia che, già di per se stessa, veicola la verità del volto del Signore, che si china su chi è pestato dalla vita, su chi vive con fatica, su chi soffre, su chi è in crisi e patisce, laddove dovrebbe avere la pace del matrimonio e della famiglia. Leggo in questo modo l’appello alla misericordia per incontrare tutti, per annunciare il Vangelo e il Vangelo del matrimonio in tutte le situazioni matrimoniali, familiari e in tutte le relazioni, rimanendo fedeli a Gesù Misericordia, che alla “misera” – nella solitudine della piazza ormai deserta dagli accusatori – dice: “Neanch’io ti condanno, va e non peccare più”. Non è, allora, questione di “aperture”, ma proprio di annuncio di una verità che è misericordia e di misericordia che è verità.Nell’
Instrumentum laboris non si tace nemmeno sul problema di progetti formativi “imposti dall’autorità pubblica”. E si riafferma il diritto all’obiezione di coscienza degli educatori. Il pensiero va subito ai progetti ispirati alle cosiddetta ideologia del gender<+TONDOA>.Il tema di una visione distorta della persona umana, dell’essere corpo sessuato con il quale si dà al mondo, è stato spesso discusso nel Sinodo. Al riguardo si è parlato di un “colonialismo culturale” che cerca di imporsi in varie forme – anche violente e ricattatorie – in tanti Paesi. Il Santo Padre stesso lo ha ribadito con chiarezza e forza. Tra queste forme parliamo anche della cosiddetta teoria del gender. Credo che occorra essere molto avveduti, semplici come colombe, prudenti come serpenti, perché queste espressioni spesso sono introdotte con formulazioni e modi che lasciano intendere altro, come la valorizzazione del maschile e del femminile, a fronte di retaggi culturali pesanti o il valore da attribuirsi alla persona con tendenza omosessuale. Anche molti cattolici sono presi, in buona fede o per presunzione, in inganno. Ma queste formulazioni gettano presto la maschera e basta attendere poco per vedere bene la loro intenzionalità e il loro fine che, in conclusione, portano ad un sovvertimento profondo della realtà della persona umana e del valore di essere uomo e di essere donna.
Via penitenziale per i divorziati risposati. A suo parere quale potrebbe essere la strada opportuna?Potremmo unire al tema della “via penitenziale” o, meglio, anticipare la “via del discernimento”, volta a riflettere e capire lo sviluppo e lo stato della situazione che si è prodotta, a riscontrarne le ferite ancora aperte, a rintracciare esigenze di riconciliazione, oltre che valutare la condizione della nuova situazione familiare che si è realizzata, se essa è stabile, bene assestata e luogo di crescita umana e cristiana per i coniugi e i figli. Un simile percorso può essere accompagnato da persone mature e preparate, delegate dalla Chiesa. In esso si riscontreranno pure sbagli, errori per i quali chiedere perdono, fare penitenza, aprirsi alla conversione, come pure potranno essere individuate forme di maggiore o minore o, addirittura, assenza di colpevolezza, come anche rilevare oggettivi motivi di nullità del matrimonio, che, caso mai, solo allora emergono con chiarezza. Il problema non è soltanto come fare questo percorso – tra l’altro non mancano modelli ben articolati – ma verso dove, con quale finalità.
Concretamente come si potrebbe fare?Personalmente ritengo la via del discernimento, previa e indispensabile, anche per cogliere la specificità delle situazioni che – come ricorda
Familiaris Consortio 84 – sono spesso differenziate tra di loro. La finalità ultima di questo percorso – al di là di soluzioni già possibili nell’odierna prassi pastorale – che mantiene comunque un grande valore per la persona e per la propria coscienza cristiana, credo debba essere definita in forma autorevole dal Santo Padre al quale tutto il lavoro del Sinodo sarà consegnato.
La tradizione ortodossa della “oikonomia” potrà rappresentare un’opportunità?La tradizione ortodossa è certamente un’opportunità sulla quale riflettere. Ritengo che tale prassi (che apre il tema delle “seconde nozze” per alcuni ritenuto decisivo nella nostra discussione) solleciti nella Chiesa cattolica una maggiore attenzione alla concreta situazione matrimoniale. Ma proprio su questa prassi non può mancare la valutazione del rischio di indurre ad una mentalità divorzista, data la possibilità di ripetere le nozze più volte, anche senza carattere sacramentale.