TESTIMONI. Van Thuân, testimone della Gaudium et spes
Nominato nel 1998 presidente del Pontificio Consiglio giustizia e pace da Giovanni Paolo II, appena nominato arcivescovo Van Thuân - fisico esile e sorriso aperto - ha affrontato prove durissime, «vivendo prigioniero a Saigon per tredici anni, dal 1975 al 1988, nove dei quali passati in isolamento », ricorda il postulatore. Dato che non gli era stato permesso di portare in cella la Bibbia, il vescovo raccolse i pezzetti di carta a sua disposizione per assemblare una minuscola agenda, su cui scrisse oltre 300 frasi del Vangelo; celebrò la Messa sul palmo della mano, con tre gocce di vino e una d’acqua. Il vino se l’era procurato chiedendone una bottiglietta ai suoi familiari, che compresero subito la sua intenzione, «come medicina contro il mal di stomaco». Per conservare il Santissimo usò anche la carta dei pacchetti di sigarette. Di notte, quando gli era possibile, organizzava in carcere turni di adorazione davanti all’Eucaristia. Mentre quando era in isolamento celebrava la Messa intorno alle 3 del pomeriggio, l’ora di Gesù agonizzante sulla Croce, cantando in latino, francese e vietnamita: un comportamento che colpì diversi carcerieri.
François Xavier era nato il 17 aprile 1928 a Huê, avendo molti martiri fra i suoi antenati prossimi: nel 1885 tutti gli abitanti del villaggio di sua madre furono bruciati nella chiesa parrocchiale, eccetto suo nonno, che studiava in Malesia. Gli avi paterni, invece, subirono persecuzioni tra il 1698 al 1885. Il ragazzo è cresciuto respirando una fede provata dal sacrificio, testimoniata dai suoi familiari. Ordinato sacerdote nel 1953, si è laureato sei anni dopo a Roma in diritto canonico. Tornato nella sua terra come professore e poi rettore del seminario, vicario generale e dal ’67 vescovo di Nha Trang, si è dedicato a rafforzare la presenza dei laici, dei giovani e dei consigli pastorali. «La sua azione ecclesiale è sempre stata caratterizzata dalla lungimiranza e ispirata dallo Spirito», sottolinea il postulatore, facendo notare che il presule «nelle sue lettere pastorali parlava di nuova evangelizzazione: testi di straordinaria attualità».
Nominato arcivescovo coadiutore di Saigon da Paolo VI nel ’75, il suo motto episcopale era Gaudium et spes e il suo programma «La Chiesa nel mondo contemporaneo », con uno stampo decisamente conciliare. Ma dopo pochi mesi, con l’avvento del regime comunista venne arrestato - avendo addosso solo la tonaca e il rosario in tasca - e messo arbitrariamente in carcere, senza processo né sentenza. L’accusa? La sua nomina ad arcivescovo fu interpretata come «complotto tra il Vaticano e gli imperialisti ». «Nell’isolamento, in una situazione drammatica, emerse la sua grande forza e la sua spiritualità profonda –, commenta Hilgeman –.
Cominciò a scrivere in segreto messaggi alla sua comunità, che furono provvidenzialmente copiati e diffusi: testi confluiti successivamente alla sua liberazione nel volume 'Il cammino della speranza'. Di notte e di nascosto, nella residenza obbligatoria a Giangxà, scrisse il suo secondo libro, intitolato 'Il cammino della speranza alla luce della Parola di Dio e del Concilio Vaticano II' e il terzo: 'I pellegrini del cammino della speranza'». La speranza ritorna in continuazione, come un ritornello scolpito nella carne. Non lo abbandona neppure quando viaggia su una nave insieme ad altri 1.500 detenuti affamati, o quando con altri 250 prigionieri varca la soglia del campo di rieducazione di Vinh-Quang. Con questo vissuto di «speranza sulla propria pelle, non stupisce che Giovanni Paolo II lo abbia messo alla guida del Pontificio Consiglio giustizia e pace», rimarca il postulatore.
Al collo porterà, fino alla morte sopraggiunta nel 2002 per un tumore, una piccola croce di legno: l’aveva intagliata nella prigione di Vinh Quang, chiedendo poi a un’altra guardia in un successivo penitenziario un pezzetto di filo elettrico. L’uomo pensò che il detenuto volesse suicidarsi, ma il presule gli spiegò che il filo serviva a preparare una catena per mettere al collo la sua croce. La prepareranno insieme dopo tre giorni, con l’ausilio di un paio di pinze: resterà il segno di un Calvario concluso con la Risurrezione.