Suor Leonie Henriette Duquet, Esther Ballestrino de Careaga, Maria Eugenia Ponce de Bianco, Angela Auad. I nomi risaltano con la forza del bianco sul marmo nero. Le tombe riposano l’una accanto all’altra nel patio-giardino della chiesa di Santa Cruz. Ci sono voluti 28 anni perché le quattro donne potessero finalmente far ritorno in quel luogo che per loro era ormai una seconda casa. Tra le pareti candide e solide della chiesa dei passionisti, Leonie, Esther, Maria Eugenia o Mary, Angela e molte altre decine di mamme disperate e attiviste per i diritti umani si riunivano per fronteggiare la spietata macchina di morte della dittatura militare – che aveva ingoiato figli, amici, parenti – con la forza della mobilitazione pacifica. Lì, all’uscita dell’edificio sacro, nel dicembre 1977, a causa della delazione dell’infiltrato Alfredo Astiz, le quattro – insieme a Azucena Villaflor e suor Alice Domon – furono sequestrate, torturate nella famigerata Escuela Mecánica de la Armada (Esma), caricate su un aereo e gettate ancora vive nel Rio de la Plata. Desaparecidas come altri 30mila argentini. Così il regime s’illudeva di far scomparire le Madres de la Plaza de Mayo colpendo le fondatrici – Azucena, Esther e Mary – e le loro amiche. A queste, però, e a suor Leonie e Angela è toccato un destino bizzarro: i loro corpi sono rispuntati nella spiaggia di Santa Teresita qualche tempo dopo e sono stati interrati dai militari in una fossa anonima. Là li hanno trovati, nel luglio 2005, gli antropologi forensi. «Se mia madre è stata sepolta a Santa Cruz, come era desiderio di tutti noi, è solo grazie all’intervento del cardinale Bergoglio», racconta Luis Bianco, figlio minore di Mary Ponce, mentre accarezza la lapide. Per 28 anni, Luis non ha nemmeno avuto un luogo dove piangere il suo dolore. «Quando mi hanno restituito le ossa della mamma le ho baciate. Lei avrebbe fatto lo stesso», dice commosso. E l’emozione si fa più forte mentre racconta l’incontro con l’allora arcivescovo, la cui autorizzazione era indispensabile per la sepoltura nella chiesa. «Gli ho scritto. E il cardinale Bergoglio mi ha ricevuto immediatamente. Mi ha fatto sedere accanto a lui e mi ha ascoltato. Mentre parlavo, ho visto i suoi occhi riempirsi di lacrime», aggiunge Bianco. Che, a mò di consolazione, gli ha dato una pacca sulla gamba. «Così, sono riuscito a farlo sorridere per un almeno un momento», aggiunge l’uomo. Il viso di padre Jorge si è fatto, però, di nuovo angosciato quando ha udito il nome di Esther Bellestrino. La donna era stata suo capo nel laboratorio di chimica dove aveva lavorato da ragazzo. L’amicizia fra i due si era mantenuta anche dopo che Jorge aveva lasciato l’impiego per entrare nella Compagnia di Gesù. Esther si fidava di lui. Tanto che una volta, dopo il golpe, lo chiamò per chiedergli se poteva somministrare l’estrema unzione a un parente. Padre Bergoglio si sorprese perché la famiglia Careaga non era credente. E ancor più perché prima di salutarlo Esther gli aveva detto: «Mi raccomando, vieni in auto». «In realtà, non c’era nessun moribondo. Esther gli chiese se poteva portar via due libri di Marx da casa perché aveva paura che la perquisissero. E Bergoglio lo fece», afferma Bianco. Non riuscì, tuttavia, a salvare l’amica. Decenni dopo, però, il cardinale ha realizzato il desiderio dei familiari di Esther e delle altre desaparecidas. Dando l’immediato il via libera al seppellimento a Santa Cruz. «Anzi, l’arcivescovo mi ha detto che se fossero comparsi altri corpi e i parenti lo avessero chiesto, lui era favorevole a che venissero seppelliti nella chiesa», afferma il parroco, Carlos Saracini. «Ho scritto al cardinale per ringraziarlo. Mi ha risposto l’indomani con parole toccanti. Mi era grato per la lettera che – diceva – aveva mostrato la mia “grandezza di spirito” – conclude Luis –. E, invece, era lui ad aver aiutato me. Mi ha fatto un grande regalo: ora ho un posto dove andare a trovare mia madre. Non lo dimenticherò mai».