Il tema. Tutti bravi a difendere i diritti, ma ci ricordiamo che siamo tutti fratelli?
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Il documento Dignitas infinita parla di dignità ontologica, morale, sociale ed esistenziale. La più importante, si dice è la dignità ontologica che “compete alla persona in quanto tale per il solo fatto di esistere e di essere voluta, creata e amata da Dio”. Sottolineatura del tutto condivisibile per un credente, ma per la persona che non crede dove si fonda la dignità ontologica?
Gesù - risponde don Alberto Piola, docente di antropologia teologica alla Pontificia Facoltà di teologia dell’Italia settentrionale, sezione d Torino - con la nota parabola della casa costruita sulla roccia o sulla sabbia, ci ha spiegato che determinanti sono le fondamenta. L’espressione «dignità ontologica» vuole indicare il fondamento della dignità di tutti (credenti e non credenti!) per l’antropologia cristiana; per 11 volte la Dichiarazione ripete che tale dignità è «al di là di ogni circostanza», sintetizzando con questa espressione quanto si legge nel n. 106 dell’enciclica Fratelli tutti. La persona che non crede riesce a dare una dignità ontologica indiscutibile a ogni essere umano? E soprattutto riesce a dare una dignità fondata sulla roccia e non sulla sabbia? Questa è la sfida che l’antropologia cristiana lancia a chi cerca “dal basso” di dare una dignità alla persona. Dignitas infinita sottolinea più volte che questa dignità è un dono che Dio ci ha fatto, non qualcosa che possiamo costruire noi o rivendicare sulla base di certe capacità che possiamo avere. La Chiesa ha il compito di annunciare che questa dignità è già presente anche in chi non crede: Cristo, incarnandosi, si è unito in un certo modo ad ogni uomo, come ha insegnato il Vaticano II nella GS 22. Non esiste nessuno senza questa «dignità ontologica».
La dignità relazionale presuppone il riconoscimento della dignità dell’altro e “i corrispondenti diritti che ne derivano hanno dunque un contenuto concreto ed oggettivo, fondato sulla comune natura umana”. Qual è il rapporto tra questi diritti naturali e quelli previsti dalle leggi degli uomini?
Siamo tutti molto bravi a difendere i nostri diritti, ma ci possiamo facilmente dimenticare – come ha sottolineato in questi anni papa Francesco – che siamo tutti fratelli. La comune fraternità, che deriva dall’avere tutti un unico Padre e un unico Salvatore, Gesù Cristo, che si è fatto nostro fratello, richiede di garantire a tutti quei diritti che rivendichiamo per noi stessi. Di qui il ruolo delle leggi dello Stato: in una visione cristiana una legge non è solo frutto di un confronto democratico, ma è chiamata a riconoscere il dono della dignità infinita che Dio ha dato ad ogni essere umano. La Dichiarazione cita i casi dell’aborto, dell’eutanasia, del suicidio assistito: oggi sono spesso permessi dalle leggi degli uomini, ma ciò non rende queste pratiche buone agli occhi di Dio. Come già dicevano i primi cristiani, «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29).
Il concetto di dignità umana, si sottolinea, non può essere usato per “garantire la capacità di esprimere e di realizzare ogni preferenza individuale o desiderio soggettivo”. Come stabilire quali sono i desideri oggettivi e quelli soggettivi?
È interessante il collegamento che viene fatto tra una certa idea di dignità oggi diffusa nella nostra cultura e la tendenza a chiedere che venga riconosciuta sempre la possibilità di poter seguire ogni desiderio soggettivo. Parlare di «desideri oggettivi» è forse un’espressione non del tutto esatta, e infatti il documento non la usa: si dice invece che la libertà umana è interpellata da un oggettivo riferimento al piano di Dio per l’uomo. Per dirlo in modo più semplice: l’uomo ha una vocazione ed è proprio questo piano di Dio su di lui che ne garantisce la dignità e il valore.
Il documento riserva il concetto di “dignità” all’uomo e di “bontà creaturale” a tutte le altre creature. Un ritorno a quell’antropocentrismo che si dice di voler superare?
Tra i molti temi di attualità connessi con la dignità umana, la Dichiarazione tocca anche la problematica ecologica. La visione cristiana dei viventi – come ricorda il n. 28 – li vede tutti segnati da una fondamentale bontà, per cui sono doni affidati all’uomo, da custodire e coltivare. Bisogna però distinguere tra «bontà» e «dignità»: il secondo termine è applicato dall’antropologia cristiana solo all’uomo, l’unico che gode del dono di essere ad immagine somigliante con Dio, un tema biblico che costituisce un po’ l’ossatura di tutta la riflessione di Dignitas infinita. L’antropocentrismo cristiano non è quello che porta alla crisi ecologica, dove l’uomo si sente autorizzato a spadroneggiare sul creato, ma – come si dice citando il n. 67 di Laudate Deum – è un «antropocentrismo situato», che sa che la vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature.