Vangelo e società. «Una Chiesa da scuotere per il bene di tutti»
I delegati alla prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia
Se la Chiesa deve cambiare per continuare a parlare al mondo allora deve prima di tutto pensare a come trasformare se stessa, senza chiedere che a mutare siano prima di tutto gli altri. Ecco perché oggi alla comunità cristiana «è richiesta una dieta, è chiesto di liberarsi da pesantezze che la affliggono»: per farlo basta che segua lo stile emerso con chiarezza nel percorso di questi ultimi tre anni con il Cammino sinodale. È l’arcivescovo Erio Castellucci, vicepresidente della Cei e presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale, a fare luce su come guardare avanti dopo l’intensa esperienza della prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia, che ha visto mille delegati dalle 226 diocesi italiane convenire nella basilica di San Paolo Fuori le Mura. Lo fa chiudendo i lavori, al termine della restituzione dei lavori di confronto ai cento tavoli e degli interventi dei delegati, nell’ultima mattina di lavori dell’Assemblea. «L’organizzazione di questo evento – ha detto il presule – è già di per sé esperienza di Chiesa sinodale». L’auspicio, allora, è che lo stile del dibattito che ha brulicato tra le sedie e i tavoli in basilica, fatto di ascolto, dialogo e partecipazione, espressione concreta di tutto quel lavoro capillare compito in tre anni sul territorio di tutta la Penisola, incida profondamente nelle Chiese locali.
Infine, ha concluso Castellucci, l’esperienza sinodale ha dotato chi vi ha preso parte «di una vista più profonda; ci ha abituato a scrutare le pieghe della nostra storia, cogliendo con umiltà sia le ferite dentro e fuori la Chiesa, sia i raggi di speranza e di vita, che abitano il quotidiano delle case e delle strade e che spesso restano sepolti sotto la coltre delle cattive notizie. Anche in questi giorni, ai nostri tavoli, abbiamo fatto circolare esperienze belle e positive, autentiche spie della crescita del Regno di Dio nel nostro tempo. Sono solo germogli, ma la sfida della ricezione sinodale sarà poi quella di sostenere questi stili perché diventino strutturali nelle nostre Chiese».
Chiuso questo capitolo, quindi, è il tempo di guardare avanti: lo hanno ricordato tutti i delegati presenti anche nel messaggio inviato al Papa in risposta alle parole che lui stesso aveva mandato all’inizio dei lavori. Nel testo, letto dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, i rappresentanti delle diocesi italiane rivolgono il lodo grazie al Pontefice per il sostegno e l’incoraggiamento ricevuti. «La nostra gratitudine diventa adesso impegno nel tradurre in decisioni e scelte concrete le riflessioni raccolte nelle fasi di ascolto e discernimento di questi anni di Cammino sinodale e dai lavori di queste giornate», sottolinea, poi, il messaggio. «È il tempo di realizzare quella missione nello stile della prossimità, che aveva animato san Paolo – prosegue il testo –. Il libro degli Atti racconta che i primi passi della sua missione sono avvenuti con altri apostoli e discepoli come Barnaba e Giovanni, prendendo letteralmente il largo per fondare e sostenere le comunità cristiane primitive. Sentiamo anche noi questa vocazione ad una missione condotta non in solitaria, ma insieme, per portare con coraggio e speranza il Vangelo, anzitutto attraverso la testimonianza dell’amore fraterno».
Anche per Zuppi, le giornate di lavoro a Roma sono state particolarmente intense, percorse da un profondo sentimento di gioia. Giorni in cui, secondo il porporato, si è respirata una «sobria ebbrezza». Un atteggiamento che fa riflettere davanti a un mondo ferito, rabbuiato, sofferente e segnato dalle guerre: «Di fronte a questo mondo – ha detto Zuppi – la Chiesa ha espresso la sobrietà che nasce dall’essere consapevoli, ma non scettici, senza supponenze ma con convinzione, senza enfasi, ma con consapevolezza della storia». Ma serve anche l’ebbrezza: «Non dobbiamo avere paura di essere contenti, di provare questa gioia – ha auspicato Zuppi –, semmai dobbiamo avere paura di perderla». All’Assemblea sinodale, ha proseguito il cardinale, «forse non abbiamo capito tutto, ma proviamo ebrezza per questa esperienza di Chiesa, per una Chiesa con le ammaccature che non abbiamo nascosto, ma anche capace di esprimere maternità ad esempio verso i fragili e verso gli ultimi». E i poveri, ha ricordato Zuppi inserendosi così nella celebrazione della Giornata mondiale del povero, «sono la prima attenzione che chiedono alla Chiesa di uscire. La Chiesa non esiste senza i poveri, perché altrimenti diventa un club in cui ci si parla addosso». Ecco il compito allora: «Essere costruttori di comunità, essere famiglia: perché – ha notato il cardinale - se non siamo famiglia difficilmente aiuteremo le famiglie».
La rotta in qualche modo è tracciata, anche se non definita, come ha ben sottolineato monsignor Valentino Bulgarelli, segretario del Comitato nazionale del Cammino sinodale: «Non c’è un documento scritto nei cassetti, lo stiamo costruendo assieme», ha notato il sacerdote riferendosi alla fase di rielaborazione delle sintesi e poi di confronto nelle diocesi che si svolgerà nei prossimi mesi fino alla seconda Assemblea sinodale.
Un lavoro da vivere nella gioia: ad auspicarlo è stato, durante la preghiera delle Lodi che hanno aperto l’ultima giornata di lavoro, il vescovo di Cassano all’Jonio, Francesco Savino, vicepresidente della Cei: «Di quanta gioia abbiamo bisogno! Essa manca, ci insegna papa Francesco, quando restiamo una Chiesa autoreferenziale – ha notato nella sua meditazione –. Uccidono la gioia le prudenze ipocrite, quelle tese a non perdere favori e vantaggi, a non avere noie coi potenti. Uccidono la gioia gli eterni rinvii, il far finta di non avere sentito, il rinviare di commissione in commissione, la bugia insistente che “i problemi sono altri”: sono sempre altri, mai quelli che il popolo ha inteso, mai quelli che hai visto tu, mai quelli che ci caricano di voglia di rimboccarci le maniche e lavorare insieme». E poi un appello forte a laiche, laici: «In forza del vostro Battesimo scuotete la nostra Chiesa perché il clericalismo sia vinto. Esso imprigiona anche noi vescovi e tanti bravi preti in un sistema di sicurezze e di distanze, di temporeggiamenti e di rinvii a fronte dei quali abbiamo gente che muore, italiani che non sanno cosa sperare, migranti criminalizzati e deportati, diritti calpestati e doveri dimenticati, carismi soffocati e profeti isolati».