Quando prendono la parola Francesca e Giuliano il silenzio si fa assoluto. Giovanissimi per avere un bambino di dieci anni, sono due ragazzi come tanti - «cresta» di capelli scolpita nel gel lui, brillantini sulle ciglia lei -, ma la loro vita è già stra-ordinaria. Non è normale, infatti, ciò che è successo il 7 settembre 2001, e tantomeno ciò che ne è seguito. «Quel giorno di 11 anni fa, al mattino presto ci presentammo in ospedale a Rimini per abortire - racconta Francesca -. Eravamo ragazzini e venivamo dal profondo Sud. A Rimini eravamo arrivati per lavorare in un hotel lungomare, ma dopo due mesi mi scoprii incinta. I miei genitori fino ad allora non mi avevano mai lasciato uscire la sera, avevano principi solidi e "inviolabili"...». Ma Francesca e Giuliano li avevano violati, e ora il terrore di dover confessare la gravidanza li aveva portati sulla soglia di quell’ospedale. Un mese e mezzo prima un ginecologo le aveva fatto sentire il battito del cuoricino. «Non avevo paura della creatura che mi cresceva in grembo - racconta Francesca -, ma del fatto che a lasciarmi partire era stata mia madre, prendendosi ogni responsabilità nei confronti di mio padre, temevo che avrebbe pagato lei il mio errore».Senonché sulla porta dell’ospedale, come spesso accadeva, c’era don Benzi con i suoi volontari, lì a pregare per i bambini che non sarebbero mai nati e per i loro genitori. «Dietro ogni madre che chiede di abortire c’è una donna che in realtà chiede aiuto», sosteneva lui. «Il ginecologo invece mi aveva detto solo che a 18 anni non era il caso di avere un figlio e che mi conveniva abortirte, le mie amiche confermavano, tutto mi spingeva a farlo. Solo Giuliano era fiducioso». Gli stessi medici del consultorio, quelli che avrebbero dovuto informarla e cercare di rimuovere le cause che l’avevano spinta su quel baratro, le fecero solo fretta: doveva abortire al più presto, punto e basta.Ma quel mattino lo strano prete sorrise ai due ragazzi, li abbracciò e appoggiò una mano sul ventre della ragazza: «Che bel nome hai, Francesca - disse - anche il tuo bambino si chiamerà Francesco, il figlio del sole». «Le nostre paure sparirono, finalmente a qualcuno importava di noi. Così tornammo a casa», ricorda Giuliano.Il bimbo, che avrebbe dovuto nascere dopo la metà di aprile, anticipò al 2 del mese, giorno di San Francesco di Sales. E Francesco si chiama. «È il primo della classe», dice di lui il padre, mentre fuori della sala il piccolo gioca, ignaro di essere al mondo perché quel 7 settembre don Oreste non era da un’altra parte. Oggi i due giovani sono marito e moglie, uniti dall’amore ma ancora di più dall’aver condiviso un’esperienza che li ha segnati per sempre, facendo loro incontrare la fede e il senso più profondo della genitorialità. «Ogni volta che guardo Francesco provo tanta vergogna - confessa la madre -, non so perché Dio mi ha voluto fare un dono tanto grande. A tutti i ragazzi come noi diciamo di farsi aiutare, perché quel bambino nella pancia grida «mamma, ho paura di morire, aiutami tu». Nessuno dice cos’è davvero l’aborto: se io avessi immaginato che quel bimbo viene letteralmente fatto a pezzi, mai ci avrei pensato». Quando ai genitori confessarono di aspettare un figlio, furono respinti e si rifugiarono nella Comunità di don Oreste, ma il bene è molto contagioso e «i nostri genitori un giorno ci hanno detto: vi perdoniamo proprio perché non avete abortito». Don Oreste non salvò solo Francesco - assicurano - ma tutti loro, «perché oggi altrimenti non saremmo sposati», e soprattutto «adesso non aspetteremmo il nostro secondo bambino». L’annuncio suscita un applauso convinto della grande famiglia di don Benzi. Fuori, in corridoio, sui cartelloni appesi in cui la gente lascia il suo pensiero, il piccolo Francesco ha appena scritto «grazie don Oreste per avermi aiutato a nascere». Nessuno gliel’ha mai raccontato. Ma forse certe cose si apprendono dal cuore.