Chiesa

Libri. Zuppi: «Gesù si fa incontrare nel deserto. Grati a don Tonino, profeta di pace»

Matteo Zuppi sabato 23 novembre 2024

Dicembre 1992: il vescovo Bello a Sarajevo alla Marcia per la pace

Sono passati quattro anni dal 25 novembre 2021, quando papa Francesco dichiarò venerabile Antonio Bello – ma per tutti “don Tonino” (1935-1993) –, che fu vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi Italia. L’intervento del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, presidente della Conferenza episcopale italiana, che pubblichiamo di seguito, è la prefazione a un testo che ripropone l'intervento pronunciato da Bello a conclusione del convegno giovanile "Quando vivere è convivere": il libro si intitola "Nelle vene della storia. Lettera a Gesù", è pubblicato da La Meridiana in coedizione con Luce e Vita (48 pagine, 8 euro), e ha l’introduzione dell’attuale vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, Domenico Cornacchia.

S’intitola invece "Angeli con un’ala soltanto" (208 pagine, 18 euro) il volume delle Edizioni San Paolo nel quale sono raccolte alcune delle più belle pagine su due temi particolarmente cari a Bello: la pace e la difesa della vita in ogni sua forma. Il libro (con la prefazione di Giancarlo Piccinni, presidente della Fondazione don Tonino Bello) offre un contenuto inedito: un documento audio, scaricabile con QRCode, per ascoltare la sua preghiera più famosa, che apre il libro, recitata dalla voce dello stesso Bello.

Di seguito, il testo del cardinale Matteo Zuppi.


«Don Tonino Bello ha avuto un’intimità profonda con la Storia. Chi crede in Dio e si affida a Lui è capace di leggere, nelle pieghe della cronaca, i destini dell’umanità, di scrutare i segni dei tempi, di riconoscerli. È importante sapere che veniamo da lontano e imparare a riconoscerne le conseguenze nel cogliere il presente e nel pensare al futuro, anche quando non lo vediamo se non con gli occhi della fede.

Nelle vene della storia passa il destino dell’umanità stessa.

Se proviamo, da questa prospettiva, a leggere la trilogia delle lettere di don Tonino: la lettera a Giuseppe il falegname, poi quella a Maria, la madre di Dio e, infine, quella a Gesù, coglieremo subito l’attualità di ogni pagina di quest’ultima lettera. Capiremo come parole scritte nel 1990 sembrano dettate oggi, perché il presente ha radici nel passato.

L’incontro con Gesù avviene nel deserto, dove l’unica ombra capace, in alcune ore della giornata, di dare sollievo, è la propria. Lì, dove ogni possibilità di relazione con gli altri è negata e dove il silenzio ha, nel rumore del proprio respiro, l’unica certezza di essere abitato, don Tonino incontra Gesù, il figlio di Dio. La scelta del deserto appare al vescovo, in un primo momento, non solo strana, ma anche un po’ incoerente rispetto al mandato per cui il Verbo si è fatto carne. Non doveva forse venire per stare in mezzo agli uomini, l’Emmanuele? Perché dagli uomini è già fuggito? Forse è già stanco di una umanità impazzita e rabbiosa?

Il vescovo, però, ha urgente bisogno di incontrare Gesù e, all’inizio della lettera, non importa il luogo dove questo incontro accada. Ciò che conta è la ragione che lo porta a cercarlo. Ha un bisogno struggente di porgli una domanda: “Vivo solo col presente, o convivo col passato? Da quali falde affiora alla mia coscienza questo bisogno struggente di comunione?” “Tempi duri per gli aneliti di comunione. A livello pubblico e privato. Precipitano le difese immunitarie della convivenza. E, nonostante il gran parlare, alla borsa dei valori le quotazioni della solidarietà sono quelle più in ribasso”.

Ed è solo dopo l’affiorare della domanda, in tutta la sua spasmodica urgenza, che il luogo dell’incontro assume tutta la sua rilevanza. Nell’assenza di ogni cosa e nell’arsura che ricopre le distese aride e inaridite, il luogo assume le ragioni perché la ricerca porti a risposte autentiche.

È Gesù che sceglie di farsi trovare nel deserto: “È incredibile: ma questo deserto, incapace di legarmi agli spazi, compie ora il miracolo di congiungermi con i tempi, e me ne riporta i tumulti, così come le conchiglie di Santa Maria di Leuca, accostate all’orecchio, mi riportano concerti di oceani lontani e profumi di remote scogliere” scrive don Tonino. Come a dirci, dopo averlo capito lui stesso, che bisogna connettersi profondamente a ciò che scorre nel corpo della Storia per vincere la voglia di fuggire dalle responsabilità che abbiamo, abitando un tempo minuscolo del suo tempo infinito.

“Bisogna entrare nel deserto e lasciarsi scavare dalla paura dell’ignoto.” Capisce questo don Tonino prima di scorgere le uniche tre cose, accanto all’orcio con poca acqua, che in quello spazio vuoto fanno compagnia al Figlio di Dio. La bisaccia che sembra vuota. Il rotolo dell’alleanza. Il bastone del pellegrino.

Simboli e segni, questi, per imbastire le risposte, per tornare nel frastuono delle comunità senza la paura di farne parte.

La logica della nudità è il primo abito da indossare per far spazio alla comunione e convivenza. Essere vuoti di tutto ciò che ingombra gli spazi esterni e che appesantisce la nostra capacità di non esserne schiavi e dipendenti.

“Vorrei spiegarla”, scrive don Tonino, “anche alle mie comunità cristiane, al cui interno ci si frantuma spesso per problemi di prestigio, ed è più facile rinunciare alla ricchezza dei beni che a quella del proprio punto di vista.”

“E sarebbe opportuno”, incalza, “che vi meditassero anche i responsabili dei popoli della vecchia Europa, perché oggi è facile parlare di Casa comune, ma se ognuno pretende di entrarvi con tutto il suo mobilio senza rinunciare a nulla, diventerà impossibile evitare le prevaricazioni di chi sa organizzarsi meglio, a danno dei più poveri.”

La logica dell’alleanza è il monile da esibire, disincrostato da tutti i nostri accomodamenti di circostanza e dal nostro buonismo, che ci porta a dire a una parte di umanità che non c’è posto per lei, con il diritto che ci prendiamo di poter decidere che solo noi abbiamo il diritto di esistere in questo mondo e in questo tempo.

“Razzisti – scrive don Tonino – proprio non siamo, e forse neppure intolleranti con loro. Ma ci fanno paura. Probabilmente perché sono l’icona di un rapporto con l’altro che non sappiamo gestire.”.

Quella paura che ci porta a chiudere, ancora oggi, le frontiere e a lasciar cadere in mare anche bambini innocenti, sentendoci però differenti da Erode.

La logica della trascendenza per fare ritorno nel mondo: è una logica carsica, ma c’è. “Dalle viscere dell’umanità prorompe il sussulto di uno pneuma universale che scavalchi le immagini di tutte le teofanie storiche, e provochi una convivenza nuova tra le genti fondata sulla pace, sulla giustizia e sulla salvaguardia del creato.”

Gesù non parla. Mostra le poche cose che ha con sé e queste diventano risposta. Perché è attraverso i segni che il mistero della salvezza ci indica la strada.

La straordinarietà di don Tonino è nell’aver compiuto per primo quel passo nel deserto, nell’aver visto negli oggetti i segni e il significato affidato loro, per noi, dal Salvatore. Come a dire che non è dalle parole gridate che passa la Salvezza, ma dalla nostra capacità e volontà di leggerla nella realtà delle cose.

L’incontro finisce. È il momento del commiato. Le risposte alla domanda che lo aveva portato a cercare Gesù, don Tonino le ha trovate.

“Ecco, vedi, sotto i tuoi piedi è già spuntata una ginestra. La colgo, perché voglio portarmela come presagio di una imminente primavera che già incombe sulla storia.”

Quella ginestra, dopo aver letto il libro, ci è consegnata da don Tonino perché possiamo anche noi vedere e leggere come un segno che “A Sud è spuntato l’arcobaleno”.

Come non dire ancora Grazie a questo vescovo innamorato dei poveri e profeta di Pace. Come non dirlo oggi, quando la logica della violenza e della guerra sembra conquistare i cuori di tanti e di addormentare le coscienze. Grazie don Tonino e grazie al suo coraggio di combattere sempre e fino alla fine la logica della violenza e della guerra, anche quando sembra non serva a niente e non convenga».