Chiesa

Il vescovo Cornacchia. Domani il Papa nei luoghi di don Tonino Bello

Gianni Cardinale giovedì 19 aprile 2018

Monsignor Tonino Bello «parlando ai suoi sacerdoti metteva in parallelo la stola e il grembiule, ovvero l’altare con la strada, con l’officina, con il luogo del lavoro, del sudore, della sofferenza». Egli «davvero ha preconizzato i tempi di papa Francesco». Parola di Domenico Cornacchia, vescovo di Molfetta- Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, la diocesi guidata da Bello dal 1982 al 1993. Avvenire lo ha intervistato alla vigilia della visita pastorale che domani porterà il Pontefice a Molfetta e Alessano in occasione del 25° anniversario della prematura scomparsa di “don Tonino”.

Eccellenza, che clima attende il Papa?
C’è trepidazione, gioia, stupore, meraviglia. Da parte mia, del clero e soprattutto del popolo, che non fa altro che ringraziare il Signore per aver ricevuto come pastore monsignor Tonino Bello. È per lui infatti che il Santo Padre si muove e ci viene a far visita. Noi siamo qui ad attendere il papà che va incontro ai propri figli.

Come vi siete preparati?
Più che badare agli aspetti esteriori abbiamo voluto rispolverare innanzitutto il messaggio spirituale, pastorale di don Tonino. E poi ci stiamo preparando nella preghiera. Tutte le mattine, in tutte le realtà ecclesiali della diocesi viene recitata una orazione molto bella composta da noi per il grande evento. Il giorno 13 abbiamo vissuto una bella veglia per i giovani, erano circa cinquecento, nella Basilica Madonna dei Martiri, titolo che fu consegnato a questo santuario dal Papa proprio per le mani di monsignor Bello nell’anno mariano del 1987.

Qual è il lascito di don Tonino alla diocesi?
Una grandissima eredità spirituale, morale e umana. Un giorno ricevendomi qui in episcopio mi portò nella sua cappella dove c’era uno scrittoio con una montagna di carte, e mi disse: “Vedi Mimmo, le cose che scrivo le scriviamo a quattro mani” e indicò il Tabernacolo. Tutto ciò che egli ha detto è frutto della sua preghiera, della sua unione con il Signore. Trascorreva molte ore, di giorno e di notte, davanti al Santissimo. Don Tonino tre quattro volte a settimana si faceva chiudere in Duomo da mezzogiorno alle quattro. È davvero toccante che un pastore così attivo, così impegnato in mille iniziative, trovasse un tempo così prolungato per l’adorazione eucaristica. Questa è la sua eredità spirituale.

Poi c’è quella pastorale.
Sì, la pastorale della strada, dell’ascolto, della promozione sociale, della difesa degli emarginati, di quelli che non ce la fanno, dei disperati, dei disoccupati. In una delle sue lettere aveva coniato questa bellissima espressione: “noi sul passo degli ultimi”.

E quindi l’eredità umana.
Sì la sua grande carica umana. La sua umanità era veramente sacramento della spiritualità del Signore. Era una persona intelligente e versatile in mille campi. Bravissimo a scuola, praticava sport, il nuoto, cantava e suonava la fisarmonica. Aveva mille talenti concentrati nel suo cuore. E la gente intravedeva attraverso questa sua umanità la carezza di Dio.

Tonino Bello è ricordato anche per il suo impegno per la pace. Pochi mesi prima di morire volle recarsi a Sarajevo. Ricordo che il fratello medico cercò fino all’ultimo di dissuaderlo. Ma egli, come un profeta, volle andare. Perché quello che lui predicava lo ha messo in pratica fino agli ultimi istanti della sua vita.

Che ricordo personale ha di don Tonino?
Ne ho molti e belli. Ricordo che venne due volte nel mio paese di origine, Altamura, a parlare al liceo dove insegnavo. Mi ha commosso tanto scoprire, quando sono entrato qui in episcopio nel 2016, che un disegno donatogli il 9 aprile 1986 da una mia alunna, Silvana, era ancora appeso nell’anticucina. Ma c’è un episodio che mi ha toccato in modo particolare.

Quale?
Ho celebrato con lui, nella stanza dove è morto, una delle sue ultime Messe. Era il 17 marzo 1993, il giorno prima del suo compleanno. Fu un dono inaspettato. Infatti don Tonino celebrava di solito con un altro sacerdote che quel giorno però giunse quando ancora era assopito, mentre si svegliò proprio un minuto dopo mio arrivo. Ero andato per chiedergli consiglio sulla nomina a direttore spirituale del Seminario regionale di Molfetta. Così in quell’occasione non solo ebbi la sua approvazione per accettare, ma quasi quasi è come se mi avesse detto: «Ti passo il testimone, ci rivediamo qui tra una ventina d’anni come mio successore».

A che punto è la causa di beatificazione? Nel 2015 si è chiusa positivamente la fase diocesana. Il postulatore, monsignor Luigi Michele De Palma, insieme all’esperto esterno Ulderico Parente, sono già al lavoro per la stesura della “Positio super virtutibus”. Sono certo che con la visita del Papa l’iter della causa avrà un moto naturalmente accelerato.