Pavia. Un anno con san Pampuri, il "dottor carità"
Il santo medico Riccardo Pampuri, al secolo Erminio Pampuri (1897-1930)
Medico dei corpi e delle anime. Santo nell’ordinarietà della vita quotidiana. Missionario nello spazio di pochi chilometri, in quella Bassa lombarda dove si è dipanata gran parte di un’esistenza tanto breve quanto intensa. Così viene ricordato san Riccardo Pampuri, di cui dal primo maggio scorso si sta celebrando l’Anno giubilare proposto dal vescovo di Pavia, Corrado Sanguineti: lo scorso primo novembre è stato celebrato il trentesimo anniversario della canonizzazione; il 1° maggio 2020 sarà il novantesimo anniversario della morte. «Abbi grandi desideri, mira sempre più in alto che puoi per riuscire a colpire giusto; ma poiché non sempre sarai chiamato ad azioni gloriose, fa’ anche le cose piccole, minime, con grande amore». In queste parole, scritte alla sorella missionaria in Egitto, è condensato il suo carisma e il fascino che la sua figura continua a esercitare su tante persone, in Italia e nel mondo, dove la sua fama continua a diffondersi e da dove in questi mesi arrivano migliaia di pellegrini per venerarlo nella chiesa dei Santi Cornelio e Cipriano di Trivolzio che custodisce le sue spoglie.
Erminio Pampuri nasce a Trivolzio (Pavia) nel 1897, penultimo di undici figli. Medico condotto per sei anni nella vicina Morimondo, nel 1927 entra nell’ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, il Fatebenefratelli, assumendo il nome di Riccardo. Muore tre anni dopo, e nel 1989 viene proclamato santo da Giovanni Paolo II che lo descrive come «una figura straordinaria vicina a noi nel tempo, ma più ancora ai nostri problemi e alla nostra sensibilità. La sua vita, breve ma intensa, è uno sprone per tutto il popolo di Dio, ma specialmente per i giovani, per i medici, per i religiosi, a vivere coraggiosamente la fede cristiana nell’umiltà e sempre nell’amore gioioso per i fratelli bisognosi».
A Morimondo il “dottor Carità” è sempre disponibile alle necessità della popolazione, di giorno come di notte, con una dedizione verso tutti che lascia il segno. «Il nostro dottore è un santo – ricorda uno della parrocchia, citato nella causa di canonizzazione –. Sapesse come vuole bene agli ammalati, quanta carità fa ai poveri! Quando viene nelle nostre case, pare che venga un angelo». E un vicino di casa lo descrive come «una persona caritatevole: quando, entrando nella casa di un ammalato, lo vedeva bisognoso e in povertà, allora egli dava le medicine o i danari per comperarle. A parecchi pagava il libro del prestinaio, cosicché abitualmente quand’era il venti del mese egli aveva esaurito il suo stipendio e allora molte volte si rivolgeva a me a chiedermi in prestito qualche cosa». Istituisce una mutua per la quale gli iscritti pagano solo due lire all’anno, ma spesso li visita gratuitamente. E visto che la mutua non paga le specialità, provvede lui di tasca sua. Diventa presto un punto di riferimento per il paese. Per aggregare i giovani fonda un circolo dell’Azione cattolica, ogni anno organizza gli esercizi spirituali a cui partecipano anche tanti adulti, promuove una banda musicale. Il carattere mite non gli impedisce di esprimere con nettezza le sue opinioni: a quell’epoca i medici, per prassi, devono iscriversi al Sindacato nazionale fascista dei medici condotti, ma lui volendo rimarcare la sua estraneità a un regime oppressivo si dimette scrivendo una lettera in cui dice: «Ritenendo io di poter essere patriota anche militando in altro partito più corrispondente ai miei principi morali e politici, né volendo per qualsiasi interesse materiale rinunciare alla mia libertà al riguardo, ho ritenuto doveroso presentare le mie dimissioni dal Snfmc».
Vive la missione come una dimensione ordinaria della professione medica, avendo sempre a cuore la salute finisca e quella spirituale dei suoi malati. Continua a esercitare anche dopo l’ingresso nei Fatebenefratelli, ma le sue condizioni di salute, minate dalla pleurite rimediata in guerra, peggiorano velocemente. L’ultima missione è verso gli ex compagni di università: fa chiamare alcuni di loro che sapeva lontani da Dio e si intrattiene con loro. Da quei colloqui molti escono con le lacrime agli occhi. Muore a 32 anni stringendo tra le mani il crocifisso, il grande amore della sua vita.