Chiesa

L'intervista. Ulrich: la rinascita di Notre-Dame, segno d'unità fra popoli e religioni

Daniele Zappalà (Parigi) mercoledì 25 settembre 2024

Il cantiere di Notre-Dame

«Mi rallegro della congiunzione a Parigi, nel corso del 2024, di questi tre eventi, ciascuno a suo modo all’insegna della concordia e della pace: quello di Sant’Egidio nei giorni scorsi, quello ormai vicino per la riapertura della Cattedrale di Notre-Dame (annunciata per l’8 dicembre prossimo, solennità dell’Immacolata Concezione, ndr) e quello olimpico vissuto quest’estate all’insegna dello sport». L’arcivescovo di Parigi Laurent Ulrich ha invitato la Comunità di Sant’Egidio nella capitale francese certamente non in un anno come gli altri. E il connubio fra i luoghi dell’arcidiocesi messi a disposizione per gli incontri del meeting internazionale “Immaginare la pace”, come la chiesa di Saint-Merry, e il fervore del «popolo della pace» di passaggio in Francia ha lasciato un sapore particolare che di certo resterà nella memoria di tanti fedeli parigini.

Monsignor Ulrich, in queste giornate parigine di Sant’Egidio, sono state evocate spesso le emozioni. L’ha colpita?

Essere sensibili alle emozioni degli altri, in particolare alle loro sofferenze, è un punto di partenza importantissimo per cominciare a sperare nella pace. Una delle ragioni delle odierne guerre senza fine riguarda il fatto che abbiamo appreso a uccidere a distanza, con mezzi tecnici come i droni, oppure con ogni sorta di bombardamento. Non si guarda più il proprio avversario in faccia, con le sue sofferenze. Si ha appena l’impressione di aver soppresso numerose vite, dal momento che non si tiene più conto del dolore dell’altro. Chi attacca finisce così per pensare di essere il solo a soffrire. Una sofferenza con cui giustifica il fatto di muovere guerra verso l’altro. Quest’ultimo non è più considerato come un essere umano dotato di sentimenti e di proprie ragioni di combattere. Ciò contribuisce a non far calare la pressione della violenza. Non avere più l’altro a portata di sguardo.

La guerra muove da passioni negative. Ma Parigi sperimenta pure l’ondata eccezionale d’emozione e solidarietà suscitata dal rogo di Notre-Dame. In ciò, abita un potenziale di pace?

Sì, è vero che l’ondata d’emozione in occasione del rogo è stata planetaria e che ha suscitato immediatamente un’infatuazione, un’amicizia, una simpatia per la Cattedrale. I doni giunti e la preghiera che si è manifestata sono risposte a una sofferenza. Le persone sulle rive della Senna che osservavano la Cattedrale in fiamme, assieme a milioni di telespettatori nel mondo intero, soffrivano tutte, provando un vero dolore. Ciò ha provocato un bisogno di reagire che si è manifestato in questi due modi: i doni di 340mila persone, ovvero un numero eccezionale, accanto alle preghiere, anche al di là dei soli cristiani, che hanno creato una comunione oltre le frontiere fra popoli, culture e religioni.

Anche lei è rimasto sorpreso?

Sì, come tutti. Impossibile non esserlo, credo. Quest’ondata è stata talmente spontanea e forte. Quando è uscito il film di Jean-Jacques Annaud sul rogo, ho apprezzato il fatto che il lavoro e la sofferenza dei pompieri siano stati associati alla preghiera della gente. Un’alternanza di lotta contro il fuoco e preghiera.

È un segno che l’umanità può nutrire emozioni positive e pacifiche all’unisono, oltre ogni steccato?

Certamente, è stato un segno di comunione fra i popoli che ci può incoraggiare, anche per la pace. L’umanità è capace di questo tipo di carburante fatto d’empatia, oltre che di passioni che portano alla guerra.

Emozioni, dunque, legate al rischio di perdere un edificio, un simbolo, molto più. In ciò, è possibile percepire un po’ l’eco o il sapore della sofferenza che l’uomo di oggi prova realizzando la sua lontananza da Dio?

Non occorre mai giungere a conclusioni precipitose. Ma, di fatto, in un mondo come il nostro sempre più tecnologico e razionalizzato, che si sente capace di padroneggiare il proprio destino per poi rendersi conto che si tratta in gran parte di un’illusione, si può immaginare che ci sia, pur fra alti e bassi, una chiamata più forte che si fa sentire. Il sentimento dell’apertura a Dio, a una profondità spirituale nella vita, a un bisogno di comunione che si radica nella relazione spirituale e con Dio. Probabilmente, in questo momento, in particolare molti giovani, cresciuti in una società apparentemente svincolata da Dio, percepiscono qualcosa di una realtà e di una chiamata che mancano. Percepiscono che ciò non è abbastanza riecheggiato, conosciuto, al centro di una riflessione. E che occorre tornarvi. La moltiplicazione molto importante del numero dei catecumeni per entrare nella Chiesa, in questi ultimi anni, è a mio avviso uno di questi segni che non possiamo trascurare.

Nella trilogia francese liberté, égalité, fraternité, quest’ultima, alla base della pace, fa oggi da cenerentola. Che ne pensa

Nel corso di queste giornate, sono rimasto molto colpito pure dalla trilogia di Sant’Egidio: la preghiera, la pace, i poveri. In qualsiasi contesto, l’attenzione ai poveri, il desiderio della preghiera e la pace marciano assieme. È notevole che questa trilogia possa essere evocata grazie a un simile incontro internazionale, aprendoci proprio alla dimensione della fratellanza, della vita spirituale, dell’attenzione alla pace e alla terra. Tutto questo si realizza nelle diverse fedi e nella nostra in particolare.

Abbiamo ascoltato preghiere da parte di tanti rappresentanti religiosi diversi. Momenti come questi possono rivelare la preghiera come una sorta di lingua universale?

Evidentemente, non preghiamo tutti allo stesso modo. Non abbiamo tutti le stesse guide nella preghiera. Ma la nostra guida, che è Cristo, può permetterci di comprendere come possono pure esistere altri riferimenti e come, in un modo o nell’altro, possono portare anch’essi una qualche ispirazione del Signore.

Come pastore, le capita di percepire l’azione di operatori di pace invisibili, eppure efficaci?

Certo, colui che è attento verso i poveri, colui che anche in modo invisibile cerca la pace può sentire la vicinanza e il soffio dello spirito di Dio. Queste figure intimamente luminose sono segni di speranza e dobbiamo augurarci che continuino ad operare fra noi.