Chiesa

Ucraina. La missione diplomatica di Parolin: «Qui per aprire vie di pace»

Giacomo Gambassi, inviato a Berdychiv lunedì 22 luglio 2024

Il cardinale Pietro Parolin fra i pellegrini nel santuario mariano di Berdychiv a 180 chilometri da Kiev

«Mamma, portaci la pace». Kateryna Boyko ha dieci anni. E affida il suo “sogno” a un pezzo di carta dove in alto compare una “M” sormontata da una piccola croce. Sua madre, Anastasiya, rimette la penna nella borsetta. Sono originarie di Kramatorsk, la città della regione di Donetsk nell’Ucraina orientale che dall’inizio della guerra è sotto il fuoco costante dell’esercito russo. L’hanno lasciata due anni fa su «un treno pienissimo di gente che evacuava», racconta la donna. Si sono rifugiate a Kiev. E di prima mattina si sono fatte 180 chilometri per inginocchiarsi davanti quella che Kateryna chiama “mamma” nel messaggio lasciato ai suoi piedi come altre centinaia che riempiono i cestini. È la Madonna di Berdychiv, dal nome della cittadina nella regione di Zhytomyr dove si trova il santuario affidato ai Carmelitani Scalzi che custodisce l’immagina cara ai cattolici di rito romano. Ed è la patrona dell’Ucraina, come hanno stabilito i vescovi latini, che viene festeggiata nella memoria liturgica della Vergine del Carmine.

Il cardinale Pietro Parolin davanti all'immagine della Vergine nel santuario di Berdychiv a 180 chilometri da Kiev - Gambassi

Alla «Regina delle steppe dell’Ucraina», secondo le parole della devozione popolare, il cardinale Pietro Parolin affida «le suppliche per ciò che agli occhi di molti può sembrare impossibile: il miracolo della tanto desiderata pace», spiega il segretario di Stato vaticano nell’omelia della Messa che presiede domenica a conclusione del pellegrinaggio nazionale alla Madonna dei prodigi. Nel santuario mariano arriva come inviato di papa Francesco che «porta nel cuore il vostro Paese e condivide il vostro dolore», dice al popolo che lo attende, e per «trasmettervi la sua particolare vicinanza e il suo affettuoso abbraccio paterno». È il fulcro spirituale delle cinque giornate di visita in Ucraina – la prima del segretario di Stato vaticano dall’inizio dell’invasione russa – che è cominciata venerdì 19 luglio e si conclude martedì 23 luglio quando si terrà l’incontro con il presidente Volodymyr Zelensky.

Il cardinale Pietro Parolin fra i pellegrini nel santuario mariano di Berdychiv a 180 chilometri da Kiev - Gambassi

Parla di miracolo il cardinale perché «l’Ucraina sta vivendo l’ora buia del Calvario» in cui è «ancora difficile vedere all’orizzonte la luce pasquale della pace», lasciando intendere che al momento non ci sono le condizioni per un dialogo “politico” fra Mosca e Kiev e tantomeno per un tavolo sulla tregua. Come tocca con mano quando la stampa ucraina gli domanda chiarimenti sull’urgenza di ricevere armi e sulla «provocazione» cattolica di rivedere il concetto di guerra giusta. «Difendersi è un diritto. Il che significa anzitutto non toccare la popolazione. Però oggi il problema è: “Come?”. Soprattutto a causa dell’evoluzione delle armi e dell’uso degli ordigni atomici», avverte Parolin.

Il cardinale Pietro Parolin fra i pellegrini nel santuario mariano di Berdychiv a 180 chilometri da Kiev - Gambassi

Ma è davanti alle telecamere della Chiesa greco-cattolica che il segretario di Stato spiega la natura diplomatica della sua visita: «Il Papa vuole aiutare ad aprire sentieri di pace che portino a una soluzione di questa guerra. Spero che la mia presenza possa offrire un piccolo contributo anche attraverso i colloqui politici». Colloqui in programma fra oggi lunedì e martedì. Del resto uno dei pochi canali aperti è quello della diplomazia umanitaria in cui il Pontefice e la Santa Sede, con la sua rete di nunzi e con la missione affidata da Francesco al cardinale Matteo Zuppi, giocano un ruolo di primo piano attestandosi nelle due capitali come interlocutori affidabili e come “risolutori” proficui. In particolare, per lo scambio dei prigionieri di guerra e per la restituzione dei bambini “rubati” dalla Russia all’Ucraina. Parolin ne fa cenno nella sua personale preghiera alla Vergine di Berdychiv quando chiede «che i bambini e i giovani abbiano un futuro sereno e certo», «che quanti difendono la loro patria siano protetti dagli attacchi del male», «che i prigionieri di guerra tornino ad abbracciare i propri cari».

Il cardinale Parolin nella Cattedrale della Risurrezione a Kiev con il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina Sviatoslav Shevchuk e il nunzio Visvaldas Kulbokas - Gambassi

Nella Cattedrale della Risurrezione a Kiev il cardinale tocca con mano le ferite e la resistenza della capitale. Il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, l’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, gli mostra a poche centinaia di metri la clinica neonatale dove meno di due settimane fa «un missile ha ucciso otto persone». E poi la cripta dove «nei primi mesi di guerra hanno vissuto centinaia di persone per ripararsi dagli attacchi» e che «ora continua a essere il rifugio dell’intero quartiere quando scattano gli allarmi anti-aerei». Shevchuk lo accoglie nel cuore della Chiesa di rito bizantino. «La Cattedrale trema quando ci sono i raid – spiega –. Ma la gente sa che le siamo accanto». E mostra a Parolin la mensa della Curia che ogni giorno sfama «duecento poveri che adesso sono in gran parte sfollati di guerra».

Il cardinale Parolin nella Cattedrale della Risurrezione a Kiev con il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina Sviatoslav Shevchuk e il nunzio Visvaldas Kulbokas - Gambassi

Berdychiv racconta una liberazione: quella del governatore di Kiev e Zhytomyr dalla prigionia dei tartari invocando l’intercessione di Maria che, come ex voto, volle un monastero in cui collocò una copia della Salus Populi Romani conservata nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Oggi la liberazione è quella dalla guerra. Le norme anti-raduni non permettono l’arrivo di 20mila pellegrini come accadeva fino al 2021. I posti nella chiesa sono contingentati ma il piazzale è pieno nonostante il sole cocente di un’estate con temperature oltre i 35 gradi. Nelle bandiere e negli striscioni dominano il giallo, il bianco e l’azzurro: un mix di colori fra le bandiere dell’Ucraina e del Vaticano. A Berdychiv, dove Parolin viene accompagnato dal nunzio, l’arcivescovo Visvaldal Kulbokas, e dall’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, il segretario di Stato incontra anche il nuovo ambasciatore italiano a Kiev, Carlo Formosa, che ha preso servizio il 1° luglio e che su X commenta la missione del cardinale: «Guardiamo con speranza e fiducia alla sua visita, segno di vicinanza all’Ucraina aggredita e simbolo degli sforzi della Santa Sede per una pace giusta e duratura».

A Berdychiv l'incontro fra il cardinale Pietro Parolin e il nuovo ambasciatore italiano in Ucraina, Carlo Formosa - Gambassi

Nella celebrazione entrano le «battaglie» che «divampano» e «i bombardamenti» che «non cessano», afferma il porporato. Ma anche il richiamo alla Chiesa in Ucraina a «svolgere una missione profetica: convocare una preghiera incessante affinché Dio converta coloro che seminano violenza e morte, calpestando negli altri quella dignità di figli di Dio». Poi l’invito a «non perdere mai la fiducia in Dio quando sembra che il male abbia il sopravvento, quando gli orrori della guerra e il dolore per le numerose vittime e le massicce distruzioni mettono in crisi la fede nella bontà divina, quando le nostre braccia cadono e non abbiamo nemmeno più forza per pregare».

Il cardinale Pietro Parolin nel santuario mariano di Berdychiv per la conclusione del pellegrinaggio nazionale dei cattolici latini dell'Ucraina - Gambassi

Dopo la benedizione finale, il vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhia, Pavlo Honcharuk, legge l’atto di consacrazione dell’Ucraina al Cuore immacolato di Maria in cui si invoca conversione e ispirazione per «tutti i governanti» ma anche il dono di incrementare gli sforzi degli operatori di pace. Nel cortile Parolin benedice le statue di san Michele Arcangelo che il vescovo di Lutsk, Vitalij Skomarovskyj, presidente ella Conferenza episcopale ucraina, ha portato dal santuario di San Michele Arcangelo sul Monte Gargano e che andranno in ogni diocesi del Paese «provata dalla crudeltà della guerra» per essere «segno di speranza».

Il cardinale Pietro Parolin nel santuario di Berdychiv per la conclusione del pellegrinaggio nazionale dei cattolici latini dell'Ucraina - Gambassi

E da Berdychiv il segretario di Stato parte lasciando nel santuario un Rosario del Papa come «impegno a continuare a pregare» e ricevendo in dono da una donna, fra la folla, il Rosario realizzato dai bambini per i militari al fronte. «Lo terrò sempre con me in questi giorni», le sussurra il cardinale.